La notizia è di quelle in grado di catturare subito l’attenzione e provocare la reazione indignata del popolo del web: dopo aver scoperto che un’immagine della moglie morente in ospedale figura tra quelle riprodotte a scopo dissuasivo sui pacchetti di sigarette, un cinquantenne di Misano Adriatico vuole citare in giudizio una non meglio precisata multinazionale del tabacco, a cui chiede un risarcimento di 100 milioni di euro per l’utilizzo non autorizzato della fotografia.
Una vicenda che ha dell’incredibile, denunciata il 7 luglio dal Resto del Carlino e rilanciata nei giorni successivi da molte altre testate. È sufficiente, però, guardare la video-intervista rilasciata a Repubblica Tv dal marito della donna e dall’avvocato che lo rappresenta, Guglielmo Guerra, per rendersi conto che la storia, più che incredibile, è soprattutto molto poco credibile. L’ennesima bufala partorita dal giornalismo copia-incolla, che invece di utilizzare Internet per verificare le notizie che pubblica, sfrutta la rete per diffondere fake news e conquistare qualche visualizzazione in più, con buona pace dei lettori e della deontologia professionale.
Nel video di Repubblica Tv l’uomo, che preferisce rimanere anonimo perché «in paese mi conoscono tutti e sono ancora troppo turbato», spiega che la moglie è morta di tumore all’ospedale di San Patrignano in «tre giorni, dopo una sofferenza brutalissima». Circa due mesi dopo lo shock di ritrovare l’immagine della donna, intubata e con la testa fasciata, stampata su un pacchetto di sigarette che aveva appena acquistato in tabaccheria.
«È come se l’avessero uccisa due volte, una cosa bruttissima da vedere, faccio fatica anche a dormire la notte – racconta il marito – Quando vado a comprare le sigarette guardo sempre che non ci sia, perché mi viene male. Perché viene buttata in mezzo all’immondizia e calpestata in mezzo alla strada».
Vicenda toccante ma i conti non tornano
La storia è davvero toccante, ma i conti non tornano. Il Resto del Carlino scrive infatti che la tragedia «si è consumata nel novembre del 2017». La scoperta della fotografia “rubata”, scattata cioè senza il consenso della donna e dei suoi familiari, dovrebbe quindi risalire ai primi mesi del 2018. Come è facilmente verificabile con qualche ricerca su Google, l’immagine incriminata, invece, ha cominciato a essere stampata sui pacchetti di sigarette ben prima di quella data.
Il Giornale, per esempio, l’ha inserita in una galleria fotografica a corredo di un articolo del maggio 2016. La stessa immagine compare nella direttiva delegata 2014/109/UE della Commissione europea del 10 ottobre 2014, che contiene «il catalogo delle avvertenze illustrate da utilizzare sui prodotti del tabacco». La fotografia, quindi, è stata sicuramente scattata più di cinque anni fa e almeno tre anni prima del decesso della donna nell’ospedale di San Patrignano.
Spendendo qualche minuto in più sui motori di ricerca è possibile anche appurare che la notizia di Misano Adriatico è meno eccezionale di quanto possa sembrare. Con l’introduzione dell’obbligo di pubblicare foto e slogan anti-fumo sui pacchetti di sigarette, infatti, negli ultimi anni si sono moltiplicati i casi di persone che hanno riconosciuto se stesse o un proprio familiare in quelle immagini.
Per un altro scatto già quattro “riconoscimenti”
Il caso più eclatante è quello che riguarda la foto di un uomo intubato in un letto d’ospedale, utilizzata per ammonire sui rischi che il fumo comporta per ictus e disabilità. Per Edda Cerqueti, legale di fiducia di Maurizio Plescia, un commerciante di Ischia convinto di essere il paziente ritratto in quella foto, l’immagine «sarebbe stata scattata nel mese di novembre 2014», mentre Plescia «si trovava ricoverato d’urgenza per una grave insufficienza respiratoria che lo aveva improvvisamente colpito presso la Clinica Farallones di Calì, in Colombia, dove si era recato per contrarre matrimonio con una cittadina colombiana». Anche questa immagine, però, è contenuta nella direttiva dell’ottobre 2014, il mese precedente il presunto “furto” dello scatto nella clinica colombiana.

Il commerciante ischitano, tra l’altro, non è solo. Prima di lui la stessa immagine era già stata “rivendicata” almeno altre tre volte. Nel 2016 a riconoscersi nella foto era stato un 54enne spagnolo. L’anno successivo, invece, nel Regno unito due donne senza alcuna parentela tra loro si sono dette sicure del fatto che quell’uomo intubato raffigurato sui pacchetti di sigarette fosse, rispettivamente, il proprio padre e marito.
I casi di somiglianza fisica, del resto, sono più frequenti di quanto si possa immaginare. Nel 2015, per citare un episodio diventato virale grazie a Twitter, un fotografo di Glasgow, Neil Thomas Douglas, ha incontrato un suo sosia a bordo di un aereo diretto in Irlanda. Partendo dall’ipotesi non dimostrata che nel mondo ciascuno di noi abbia almeno sette sosia, c’è anche chi ha spiegato come utilizzare la funzione di ricerca delle immagini di Google per trovare i propri “cloni”, con risultati tra il sorprendente e il grottesco.
È anche possibile che i protagonisti di queste segnalazioni abbiano “riconosciuto” nelle immagini stampate sui pacchetti di sigarette soprattutto la propria sofferenza o quella vissuta da un proprio familiare ammalato. Le emozioni, infatti, spesso ci influenzano più della ragione. Non si può escludere, però, che in alcuni casi le motivazioni che spingono queste persone a farsi avanti siano altre: lo spirito di emulazione, l’illusione di poter strappare un corposo assegno alle avide multinazionali del tabacco che lucrano sulla pelle dei propri clienti o, più banalmente, il desiderio di conquistare i proverbiali 15 minuti di celebrità.
Per qualcuno, invece, può anche essere l’opportunità di dare una ripulita alla propria immagine pubblica, approfittando della pigrizia del giornalismo copia-incolla. Per esempio, ascoltando l’avvocato Guerra – che dice di voler portare il caso di Misano Adriatico negli Stati Uniti con la motivazione che «difficilmente un tribunale italiano potrà condannare una multinazionale a 100 milioni di risarcimento perché ha pubblicato una fotografia» – viene il dubbio che il suo vero obiettivo sia far dimenticare la lunga vicenda giudiziaria che nel luglio 2018 gli è costata una condanna a sette anni e mezzo per reati legati al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione.
A scegliere le immagini non è Big Tobacco
Non serve, infatti, una laurea in legge (o in giornalismo) per sapere che in Europa la scelta delle immagini anti-fumo riprodotte sui pacchetti di sigarette non è a discrezione dei produttori, che sono tenuti a utilizzare soltanto quelle appositamente selezionate dalla Commissione europea. A stabilirlo è la direttiva 2014/40/UE, che dà indicazioni tassative anche rispetto alla superficie del pacchetto di sigarette che deve essere riservata alle cosiddette «avvertenze combinate relative alla salute», ovvero testi e fotografie.
Se qualcuno ha rubato davvero le immagini stampate sui pacchetti, quindi, è la Commissione europea, non le multinazionali del tabacco. In un documento pubblicato sul proprio sito, però, la stessa Commissione spiega di essere «a conoscenza dell’identità di tutte le persone raffigurate nelle immagini» stampate sulle confezioni dei prodotti del tabacco, ma di non poter «diffondere ulteriori informazioni sulla loro identità al fine di proteggerne i diritti».
Nello stesso documento è precisato, inoltre, che tutte le persone sono state informate dell’utilizzo che sarebbe stato fatto delle fotografie, per il quale hanno dato la propria autorizzazione. «Qualsiasi somiglianza con altri individui che non hanno fornito il proprio consenso – si legge – per quanto spiacevole è una pura coincidenza».
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