Precorrendo il cambio di verso promesso a più riprese in questi mesi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia mercoledì scorso ha cambiato radicalmente verso al suo giudizio su Renato Farina. L’ex agente Betulla, radiato dall’albo professionale nel 2007, su richiesta del procuratore generale della Repubblica di Milano, in seguito alla scoperta del suo arruolamento nei servizi segreti italiani, è stato infatti riaccolto a braccia aperte nell’elenco dei giornalisti professionisti.
Due anni fa la sua domanda di riammissione era stata respinta perché «la collaborazione con i servizi è incompatibile con l’esclusività della professione giornalistica», perché si «sottrasse al giudizio dei colleghi» e perché «ha continuato a collaborare quotidianamente con varie testate, con atteggiamento di svalutazione dell’ente preposto alla vigilanza». Sarebbe dunque interessante conoscere nel dettaglio le motivazioni che hanno spinto il Consiglio lombardo a ritornare sui propri passi, con una decisione approvata, tra l’altro, all’unanimità.
L’Ansa, in un lancio ripreso anche sul sito dell’Ordine, cita soltanto la ricostruzione fornita dallo stesso Farina, che nell’audizione di fronte ai consiglieri dell’Odg della Lombardia avrebbe dichiarato di aver «agito in buona fede, con la presunzione di salvare il mondo» (mica bruscolini), ammettendo però — bontà sua — «di avere contravvenuto gravemente alle regole di comportamento della categoria dei giornalisti».
È incoraggiante constatare che l’ex agente Betulla ha cambiato idea sul suo operato. Per aver scritto le stesse cose in una serie di post pubblicati su questo sito, infatti, il 29 settembre del 2008 mi aveva fatto contattare via email dal suo avvocato, Massimo Rossi, che in una lettera allegata al messaggio, dopo aver citato diversi passaggi dei miei articoli, mi intimava di rimuoverli immediatamente, minacciando in caso contrario «di promuovere le opportune azioni nelle competenti sedi a tutela dei suoi diritti» (il diritto a farla franca, evidentemente, anche se nella lettera non era specificato). Gli articoli, ovviamente, sono rimasti al loro posto e dal legale di Farina non ho più ricevuto alcun tipo di comunicazione, anche se nell’email mi anticipava l’arrivo di una raccomandata con ricevuta di ritorno «inviata via posta in data odierna», che in realtà non è mai giunta a destinazione.
Anche i consiglieri dell’Ordine lombardo devono avere apprezzato il cambio di verso dell’ex vicedirettore di Libero, forse condizionati dal fatto che, come ricorda Wikipedia, nell’ottobre del 1981, prima di lanciarsi sulle orme di James Bond, fu il primo giornalista non jugoslavo a scrivere delle apparizioni della Madonna a Medjugorje. Un sentimento ricambiato da Farina, che nello stesso lancio dell’Ansa si è detto «molto contento» dell’unanimità della loro decisione, «perché, pur essendo convinto di non avere ricevuto regali, so bene che in questa Italia è rarissimo che prevalga il senso di giustizia e di diritto al di là degli schieramenti politici e per questo ringrazio di cuore i colleghi che questa mattina hanno preso la decisione. Mi sono sentito ascoltato e non sotto processo, quando ho fornito i chiarimenti sui comportamenti del passato. Alcuni erano atti che ritenevo doverosi per la mia coscienza, compiuti con la presunzione di andare in soccorso del mondo, altri erano compiuti sulla base di un’ideologia, atti sbagliati perché ho trascurato le regole di comportamento della comunità dei giornalisti».
In effetti l’ex agente Betulla ha ragione. In Italia è rarissimo che prevalga il senso di giustizia, specie quando a finire nelle sue maglie è qualche pezzo grosso, e il suo reintegro nei ranghi dei giornalisti ne è solo l’ultima, ennesima conferma. Formalmente ineccepibile, perché chi è stato radiato può chiedere di essere riammesso all’Ordine trascorsi cinque anni dal provvedimento — che in questo caso era anche stato annullato dalla Cassazione nel 2011 perché Farina, con un espediente da azzeccagarbugli, si era furbescamente dimesso dall’Ordine prima della radiazione — ma vergognoso nella sostanza.
Quanto agli «atti sbagliati» che l’ex agente Betulla — sempre bontà sua — ha ammesso di aver commesso, è utile citare Marco Travaglio, che giovedì sul Fatto Quotidiano ha messo in fila alcuni dei «dossier-patacca» che ha pubblicato per conto dei servizi segreti «per sostenere panzane sesquipedali» e cioè «che Prodi, come presidente della Commissione Ue, avesse autorizzato i rapimenti illegali della Cia; che il Sisde avesse sgominato terribili attentati di al Qaeda in Italia (mai nemmeno progettati); che il sequestro Abu Omar fosse stato autorizzato dalla Digos e dalla Procura di Milano; che gli italiani sequestrati in Iraq fossero “vispe terese” (Simona Pari e Simona Torretta), “amiche dei terroristi” (Giuliana Sgrena), “pirlacchioni” sventati in cerca di “vacanze intelligenti” alla Sordi (Enzo Baldoni, di cui Farina narrò per filo e per segno un inesistente video per dimostrare che se l’era cercata)».
A dispetto di questo impressionante cursus honorum, il Consiglio dell’Odg della Lombardia deve aver ritenuto che Farina in questi anni ha pagato abbastanza per i suoi «atti sbagliati». A questo proposito, però, giova ricordare che non li ha trascorsi ritirandosi a vita privata. Come avevo scritto in uno degli articoli che non sono piaciuti al suo avvocato, infatti, dopo la radiazione è stato eletto alla Camera nelle fila del Popolo delle libertà — nel caso specifico, si presume, la libertà di fare lo 007 fingendo di essere un giornalista — e ha continuato a scrivere come opinionista per Il Giornale e Libero. In questa veste ha firmato con lo pseudonimo Dreyfus — scelta rivelatrice dell’autocompiacimento del personaggio — il pezzo che nel 2011 ha portato alla condanna per diffamazione a mezzo stampa del direttore Alessandro Sallusti, risultato essere un coacervo di «informazioni false» (Cassazione dixit).
Se calpestare la deontologia, come dimostra questo caso, non è sufficiente per essere allontanati dall’Ordine dei giornalisti una volta per tutte, in compenso da quest’anno basterà non studiarla per essere depennati dagli elenchi di professionisti e pubblicisti. La deontologia, infatti, è uno degli argomenti centrali della formazione continua, obbligatoria per i giornalisti in attività iscritti da più di tre anni e gestita finora, come al solito, à l’italienne.
La riammissione di Farina sembra avvalorare la tesi che all’Ordine, più che il rispetto della deontologia professionale, interessino le quote che i giornalisti — tutti i giornalisti, senza distinzione tra professionisti e pubblicisti, occupati e disoccupati, a tempo indeterminato e precari — saranno tenuti a sborsare ai vari enti formativi accreditati dallo stesso Odg per elargire i tanto agognati crediti. Anche perché i corsi gratuiti promessi sembrano fungere soprattutto da foglia di fico, con i pochi posti messi a disposizione destinati a esaurirsi quasi subito. Per non parlare della qualità e dei contenuti di buona parte dei corsi proposti, che il vicedirettore di Wired, Federico Ferrazza, ha liquidato come «desolante».
Grazie alla decisione del Consiglio della Lombardia per chi non ce la farà, perché non vuole o non può versare l’ennesimo dazio a un ente che si rivela ogni giorno sempre più anacronistico, resterà almeno la parziale consolazione di non dover più convivere con l’ex agente Betulla sotto lo stesso tetto professionale.
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