Le parole della destra

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Le parole della destra

Sono bas­ta­ti pochi giorni per ren­der­si con­to del­la dif­feren­za sostanziale — numeri par­la­men­tari a parte — tra il gov­er­no Pro­di e il nuo­vo esec­u­ti­vo tar­ga­to Berlus­coni. Se l’e­sor­dio del pri­mo era sta­to accom­pa­g­na­to da ter­mi­ni cervel­loti­ci o impopo­lari come cuneo fis­cale, indul­to o il cosid­det­to “scip­po del tfr”, il sec­on­do ha inau­gu­ra­to il suo manda­to con parole dal sig­ni­fi­ca­to chiaro e imme­di­ata­mente com­pren­si­bile da qual­si­asi cit­tadi­no.

Il 13 mag­gio la pri­ma pag­i­na di Repub­bli­ca ne offri­va un con­cen­tra­to molto sig­ni­fica­ti­vo. A breve dis­tan­za, infat­ti, titoli e occhiel­li richia­ma­vano l’at­ten­zione sul provved­i­men­to sul­la sicurez­za in cor­so di definizione da parte del min­istro del­l’In­ter­no Maroni, sul­l’ipote­si, sem­pre in chi­ave sicurez­za, di uti­liz­zare anco­ra una vol­ta l’e­serci­to per il con­trol­lo del ter­ri­to­rio, e sul­la lot­ta sen­za quartiere ai “fan­nul­loni” dichiara­ta dal neo­min­istro del­la Fun­zione pub­bli­ca, Rena­to Brunet­ta.

Per ora si trat­ta di slo­gan, e nem­meno trop­po orig­i­nali. Ed è prob­a­bile che rester­an­no in buona parte sul­la car­ta. A occhio, gli uni­ci che devono temere davvero qual­cosa sono gli immi­grati — comu­ni­tari e non — sulle cui sven­ture il sedi­cente Popo­lo del­la Lib­ertà, con leghisti a rin­for­zo, ha costru­ito una parte con­sis­tente delle sue for­tune elet­torali. Del resto gli stranieri sono l’u­ni­co grup­po sociale che non dispone di alcun peso elet­torale autonomo e dunque è prob­a­bile che la destra di gov­er­no — che nel recente pas­sato si è dimostra­ta assai sen­si­bile rispet­to alle riven­di­cazioni delle varie cor­po­razioni ital­iane (su tutte quel­la dei tas­sisti) — scaten­erà prin­ci­pal­mente su di loro l’an­sia di dimostrare in fret­ta in che cosa con­siste la tan­to strom­baz­za­ta “polit­i­ca del fare”.

Di fronte ai trastul­la­men­ti del Pd vel­tro­n­i­ano — con il loft, i caminet­ti e il gio­cat­to­lo un po’ snob del­lo shad­ow cab­i­net, il gov­er­no ombra sim­bo­lo per­fet­to del lin­guag­gio oscuro del cen­trosin­is­tra — e al suo bal­bet­tio imbaraz­za­to quan­do si trat­ta di toc­care temi (con­flit­to di inter­es­si, leg­gi ad per­son­am, rifor­ma del sis­tema radiotele­vi­si­vo) che potreb­bero man­dare a monte l’a­gog­na­to dial­o­go sulle riforme, bisogna dare atto alla destra di aver saputo trovare le parole giuste per sedurre la mag­gio­ran­za degli ital­iani. Non tan­to durante la cam­pagna elet­torale, nel cor­so del­la quale ha potu­to con­tare sul­l’in­sod­dis­fazione che accom­pa­gna come un clas­si­co tut­ti i gov­erni uscen­ti, ma soprat­tut­to in questo esor­dio di leg­is­latu­ra.

Non è affat­to det­to che gli slo­gan vin­cen­ti del­la destra su sicurez­za, fan­nul­loni e tasse si tra­d­u­cano in politiche altret­tan­to effi­caci. Se il pas­sato inseg­na qual­cosa, si può anzi pronos­ti­care che l’In­vin­ci­bile Arma­ta berlus­co­ni­ana scav­erà la fos­sa a un’I­talia già in coma pro­fon­do. Ma quan­do il fal­li­men­to sarà evi­dente, la destra potrà sem­pre con­tare sul­la poten­za di fuo­co delle sue tele­vi­sioni. Trovare una reces­sione eco­nom­i­ca, un’or­da di clan­des­ti­ni inva­sori o un manipo­lo di “ambi­en­tal­isti del no” a cui dare la col­pa, non dovrebbe rap­p­re­sentare un prob­le­ma insor­montabile per chi si è riv­e­la­to così abile a cav­al­care la pan­cia del Paese.

Res­ta da augu­rar­si che il risul­ta­to del 13 e 14 aprile, uni­to al bis del bal­lot­tag­gio per il Campi­doglio, met­ta almeno fine una vol­ta per tutte al mantra del­l’ege­mo­nia cul­tur­ale del­la sin­is­tra, ripetu­to all’in­fini­to dal­la destra per accred­i­tar­si come forza di popo­lo in con­trap­po­sizione a una pre­sun­ta cas­ta di intel­let­tuali rad­i­cal-chic. La cul­tura di Forza Italia, An e Lega non bril­la cer­to per pro­fon­dità e raf­fi­natez­za di pen­siero — del resto da per­son­ag­gi del cal­i­bro di Bossi, Calderoli o Gas­par­ri non si può pre­tendere trop­po — ma la nos­tra realtà con­tem­po­ranea dimostra che è lei, purtrop­po, a essere ege­mone.

Tal­mente ege­mone da essere rius­ci­ta a imporre la pro­pria agen­da anche con il cen­trosin­is­tra al gov­er­no, fino a cel­e­brare uni­lat­eral­mente, sul­l’on­da del­l’inizio zuc­cheroso del­la leg­is­latu­ra, il funerale del­l’an­tiber­lus­con­is­mo, che mal si con­cil­ia con le mal­celate ambizioni pres­i­den­ziali del pre­mier. Poco impor­ta che l’an­tiber­lus­con­is­mo — inte­so come rifi­u­to di una polit­i­ca pop­ulista basa­ta sul cul­to del capo, su un enorme mas­sa di denaro e sul con­trol­lo dei mass media — sia un ele­men­to essen­ziale di qual­si­asi democrazia deg­na di definir­si tale.

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