Quando la storia giudicherà, finalmente, Silvio Berlusconi — sempre che nel frattempo il fido Dell’Utri non l’abbia riscritta e che non sia scattata l’ennesima prescrizione — c’è da augurarsi che si ricordi di addebitare al leader del sedicente Popolo della Libertà anche 390.297 euro. A tanto ammonta, infatti, la liquidazione incassata un mese fa da Deborah Bergamini, la sua ex segretaria, per i cinque anni di attività trascorsi sul libro paga della Rai.
Lavorava alla Rai, la Bergamini — prima come vicedirettrice e direttrice del marketing strategico, poi nel cda di Rai Trade e infine, dal 2004 al 2007, come consigliere di amministrazione di Newco Rai International — ma il suo vero datore di lavoro era rimasto Berlusconi, che una decina d’anni fa l’aveva incontrata per un’intervista a Londra, dove lei era giornalista per il gruppo Bloomberg, e l’aveva convinta a mollare tutto per diventare la sua assistente personale.
Da allora per lei una carriera sempre in ascesa, fino allo scivolone del coinvolgimento nell’inchiesta milanese sui patti occulti Rai-Mediaset. Come raccontano Peter Gomez e Marco Travaglio in Se li conosci li eviti (Chiarelettere), dalle intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura è emerso l’impegno di Deborah, all’indomani della morte di Papa Wojtyla, per concordare con Mediaset, cioè l’azienda del suo ex datore di lavoro che l’ha piazzata ai vertici della televisione pubblica, una serie di «programmi che diano alla gente un senso di normalità, al di là della morte del Papa». L’obiettivo era quello di evitare un forte astensionismo alle elezioni amministrative, in calendario pochi giorni dopo, dalle quali il centrodestra di Berlusconi rischiava di uscire piuttosto malconcio.
Sospesa dalla Rai, Deborah ha dovuto scontare soltanto poche settimane di purgatorio, durante le quali si è lamentata per la violazione delle «più elementari regole di diritto con la pubblicazione di conversazioni senza alcuna rilevanza giuridica». Da noi, però, una seconda chance non si nega mai a nessuno, specie se si rientra come la Bergamini nelle grazie del principe di Arcore, che infatti alla prima occasione buona l’ha nominata deputata della Repubblica. Del resto chi meglio di lei potrà contribuire con slancio e passione al giro di vite anti-intercettazioni promesso da Berlusconi?
Oggi Deborah si presenta con un sorriso smagliante sull’home page del suo sito, dal quale sono scomparsi i post cupi dei mesi scorsi per lasciare spazio a un’unica lunga e decisamente contorta riflessione sul rapporto fra lo Stato e i cittadini, «giunto ai suoi minimi storici».
Per la neodeputata è accaduto tutto «per gradi, in modo quasi impercettibile, eppure la deriva è ormai evidente. La legittimazione dello Stato ad esercitare il potere politico, un potere riconosciuto da tutti come fonte del raggiungimento di scopi condivisi, si è affievolita fino a sparire del tutto. Si è perduto il presupposto di ogni rapporto fra politica e individuo, e cioè l’auctoritas. L’auctoritas della politica è quell’elemento intangibile che dà un valore trascendente alle dinamiche della società. E l’uomo ha bisogno di trascendenza come dell’aria che respira. Ne ha bisogno per tenersi insieme ai suoi simili, nel nome di un disegno comune che superi, e nel superare giustifichi, le sue aspirazioni e i suoi interessi personali».
A dispetto dell’entità della liquidazione che ha appena ricevuto e dell’imminente ingresso nel nuovo Parlamento italiano, Deborah Bergamini si presenta come una cittadina normale, lamentandosi del fatto che «nel nostro peregrinare fra uffici pubblici, tribunali, titoli di giornali, è come se ciascuno di noi fosse orfano. Siamo nudi, nel nostro viaggio all’interno della società. Non capiamo più da dove essa tragga la sua forza, non ci crediamo più, non ci sentiamo più tutelati in alcuna forma perché abbiamo perso il criterio fondante del nostro rapporto con essa. E non sentendoci tutelati, perdiamo la misura di noi stessi. Subentra forte la paura di non riuscire a fare fronte alle difficoltà, perché si è lasciati soli, e le regole del gioco non sono più chiare, non sono più in vigore. Non c’è più una comunanza d’intenti e ognuno diviene nemico o minaccia all’altro».
Fino a concludere, dopo un’ulteriore dose di contorsionismi verbali che metterebbero a dura prova anche il lettore più paziente, che «se vogliamo tornare ad una società che meriti tutte le risorse di ogni singolo individuo e che possa trasformarle in ulteriore forza per se stessa, occorre riaffermare l’auctoritas della politica. Solo così le regole avranno un significato e saranno quindi rispettate. Solo così si potrà tornare ad una politica che risolva i problemi. Altrimenti, essa si riduce ad essere gestione del relativo. Ma non è un’impresa facile. L’intangibilità dell’auctoritas politica si dimostra una caratteristica di debolezza in un’epoca di materialismo forsennato. Ciò che non si vede purtroppo oggi non esiste. Eppure solo poco più di sessant’anni fa, Saint-Exupery con il Piccolo Principe, non a caso una favola per bambini, ci ricordava l’esatto contrario, e cioè che l’essenziale è proprio ciò che non si vede. Occorre tornare all’essenziale. C’è fame di verità. E la politica può tornare forte solo se torna alla verità. Questa dovrebbe essere la sua missione trascendente. Lì cova la fiamma agonizzante ma viva dell’auctoritas».
Alla luce di pensieri (?) così profondi, lo slogan elettorale di Deborah — «la forza di un pensiero libero» — appare molto azzeccato. Grazie al Porcellum calderoliano, che le garantisce una poltrona sicura in Parlamento senza la seccatura di dover ottenere un’investitura personale da parte degli elettori, è davvero libera di lanciarsi impunemente in elucubrazioni come questa, che in condizioni normali le avrebbero alienato le simpatie di tutto il corpo elettorale. In fondo lei stessa, la cocca del Cavaliere folgorata sulla via di Arcore, è la conferma vivente che Berlusconi aveva torto. In Italia per uscire dalla precarietà una donna non deve necessariamente sposare un milionario. A volte può essere sufficiente diventare la sua segretaria.
Deborah Bergamini a TGToscana. Il video che segue ripropone la prima parte di un’intervista andata in onda il 28 marzo 2008. Notevole il fatto che l’intervistatore, nel riassumere le tappe principali della carriera professionale della Bergamini, ometta qualsiasi riferimento alla vicenda che ha portato al suo allontanamento dalla Rai (e alla sua candidatura alla Camera). Le altre parti dell’intervista sono altrettanto significative, perché rivelano che Bergamini si è calata benissimo nei panni della candidata con molte ovvietà da dire e parecchie bugie da spacciare come verità assolute. Altro che auctoritas e Saint-Exupery, qui il riferimento culturale più diretto è Emilio Fede.
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