Le ambizioni presidenziali del Titanic Rudolph Giuliani si sono schiantate la scorsa notte contro l’iceberg della Florida. Nulla da fare per il “sindaco-eroe dell’11 settembre”, che fino all’ultimo — nonostante i poco incoraggianti sondaggi della vigilia — ha ostentato ottimismo, salvo ritrovarsi ancora una volta alle spalle di John McCain e Mitt Romney, distanziato di una ventina di punti percentuali — una voragine — dal vincitore.
Il flop di Giuliani nel “Sunshine State” riflette anche il flop dei media, che per mesi lo hanno presentato come il superfavorito per la conquista della nomination repubblicana. Anche dopo gli insuccessi in serie rimediati dall’ex sindaco di New York nelle prime votazioni, infatti, molti commentatori si sono affrettati a spiegare che quelle sconfitte erano previste dalla sua strategia elettorale, perché Giuliani fin dall’inizio aveva scommesso tutto sulla Florida e sul Supermartedì del 5 febbraio, giorno in cui le primarie repubblicane si svolgeranno contemporaneamente in venti Stati. È la tesi sostenuta nei giorni scorsi, tra gli altri, da Usa Today, Washington Post, Msnbc e Associated Press, che ha eufemisticamente definito «poco convenzionale» la campagna dell’ex sindaco.
Come sottolineato da Fair, Fairness and accuracy in reporting, un’organizzazione che monitora la correttezza dell’informazione a stelle e strisce, non sorprende che gli spin doctor della campagna di Giuliani abbiano tentato di accreditare la stessa versione dei fatti, che però — nella sostanza — è falsa. ABC News, per esempio, l’8 gennaio ha riferito che l’ex sindaco di New York in New Hampshire ha condotto una campagna aggressiva, spendendo milioni di dollari in pubblicità e partecipando a numerosi appuntamenti elettorali. Il presunto front-runner repubblicano, insomma, non ha affatto snobbato il New Hampshire. Sono stati gli elettori a snobbare lui, relegandolo al quarto posto alle spalle di Romney, McCain e Huckabee.
Nella tappa precedente in Iowa le cose non erano andate molto diversamente. La campagna dell’ex sindaco nel primo Stato in cui si è votato per le primarie è stata un po’ meno serrata, ma il 18 novembre — un mese e mezzo prima del caucus del 3 gennaio che ha dato ufficialmente il via alla lunga corsa verso l’Election Day del prossimo 4 novembre — il New York Times aveva parlato dell’offensiva a base di spot radiofonici, telefonate e pubblicità postale con cui Rudy stava cercando di incrementare le sue chance elettorali anche in quello Stato. Un’offensiva “coronata” da un misero sesto (e penultimo) posto, che ha suonato il primo serio campanello d’allarme per il suo sogno presidenziale.
Fair aggiunge che fino a qualche mese fa era convinzione diffusa sui media che la vera forza del candidato italoamericano fosse proprio la sua capacità di competere ad ampio raggio, anche in Stati in cui non godeva dei favori del pronostico. Politico.com il 29 ottobre scorso, in un pezzo intitolato “Giuliani adesso gioca per vincere in New Hampshire”, aveva indicato in questa sua abilità il fattore decisivo, che avrebbe dovuto garantire alla sua candidatura una marcia in più rispetto a quella degli altri aspiranti successori di George W. Bush.
A dispetto di queste previsioni, i risultati della Florida hanno definitivamente dimostrato che la forza di Giuliani era più mediatica che reale. Ma invece di interpretare il magro bottino di voti ottenuti in gennaio dall’ex sindaco di New York come una bocciatura delle loro previsioni — ammettendo cioè di aver commesso un errore di valutazione — fino all’ultimo i mezzi di informazione hanno preferito presentarli al loro pubblico come parte del suo fantomatico “piano” per conquistare la nomination repubblicana.
Con buona pace degli Italian Bloggers for Giuliani 2008, il gruppo di blogger nostrani che 11 mesi fa decise di rendere pubblico sul web il proprio sostegno per Rudy, considerato il candidato più adatto per riportare il Grand Old Party «nel solco della rivoluzione reaganiana» (sigh), l’ex sindaco di New York oggi sembra destinato ad alzare bandiera bianca, e dovrebbe anche annunciare il suo endorsement al senatore McCain. Sfumata la possibilità di entrare alla Casa Bianca dall’ingresso principale, infatti, per l’ex presunto favorito dei Repubblicani la candidatura alla vicepresidenza potrebbe rappresentare la scialuppa di salvataggio cui aggrapparsi per non affogare politicamente.
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