in Giornalismo

«The medi­um is the mes­sage», spie­ga­va Mar­shall McLuhan. Il mez­zo è il mes­sag­gio, o almeno con­diziona il mes­sag­gio che vogliamo trasmet­tere attra­ver­so di esso. Ed era cer­ta­mente vero anche nel caso del­la macchi­na da scri­vere, che pur non essendo di per sé un mez­zo di comu­ni­cazione con­dizion­a­va il lavoro del gior­nal­ista, costrin­gen­do­lo a lunghe rif­les­sioni pri­ma di pas­sare a tic­chettare sui suoi tasti. Trop­pa avven­tatez­za, infat­ti, rischi­a­va di essere paga­ta a colpi di bianchet­to o, nei casi più dis­perati, con una riscrit­tura del pez­zo da cima a fon­do, sem­pre con l’an­sia di sbagliare di nuo­vo e dover ricom­in­cia­re da capo.

È un pez­zo di pas­sato, nep­pure tan­to lon­tano, che sta per andare defin­i­ti­va­mente in pen­sione. La Com­mis­sione Cul­tura del­la Cam­era, pre­siedu­ta da Pietro Fole­na, ieri infat­ti ha approva­to in sede leg­isla­ti­va la pro­pos­ta di legge del pres­i­dente del­la Com­mis­sione Gius­tizia, Pino Pis­ic­chio, che abolisce l’u­so del­la macchi­na da scri­vere nel­l’e­same di Sta­to dei gior­nal­isti, intro­ducen­do al suo pos­to il per­son­al com­put­er.

La pal­la adesso pas­sa al Sen­a­to, ma il des­ti­no del­la mit­i­ca Let­tera 22 e dei suoi sim­ili sem­bra seg­na­to. L’e­same di idoneità pro­fes­sion­ale dei gior­nal­isti era rimas­to la loro ulti­ma ris­er­va indi­ana e, come ha spie­ga­to Pis­ic­chio, obbli­ga­va i can­di­dati ad affan­nose ricerche di pezzi d’an­ti­quar­i­a­to non sem­pre disponi­bili e, se disponi­bili, spes­so mal­fun­zio­nan­ti.

Quel­lo di ieri, insom­ma, è un pic­co­lo pas­so per il Par­la­men­to ma un grande pas­so per le nuove leve del gior­nal­is­mo ital­iano, che aus­pi­cano da tem­po un adegua­men­to del­la pro­ce­du­ra d’e­same a quel­la che da più di una dozzi­na d’an­ni è diven­ta­ta la nor­ma nelle redazioni. Ed è un pas­set­ti­no emblem­ati­co del­lo scar­to che trop­po spes­so esiste nel nos­tro Paese tra i tem­pi del­la polit­i­ca e quel­li del mon­do reale, specie nelle materie che han­no a che fare con la sua suc­cur­sale dig­i­tale.

Nes­sun rimpianto per il tic­chet­tio dei tasti. Tan­to meno per il dolore ai pol­pas­trel­li provo­ca­to dal­la rib­at­ti­tu­ra del­lo stes­so arti­co­lo per quat­tro o cinque volte di fila, per rius­cire ad arrivare a una stesura grafi­ca­mente decente e sen­za trop­pi sbianchet­ta­men­ti. Soltan­to un brici­o­lo di com­mozione, aven­do vis­su­to in pri­ma per­sona, a cav­al­lo tra la fine degli anni Ottan­ta e l’inizio dei Novan­ta, la tran­sizione dal­la macchi­na da scri­vere al pc. Fino al briv­i­do, all’inizio del­la pro­va scrit­ta per diventare pro­fes­sion­ista, del­la rot­tura del nas­tro del­l’in­chiostro, segui­ta da inten­si atti­mi di pan­i­co pri­ma di pro­cedere a una riparazione raf­faz­zona­ta, suf­fi­ciente però ad arrivare fino in fon­do.

Era la fine di aprile del 2000 e da quel giorno ho per­so le trac­ce del­la mia Olivet­ti rossa. Sen­za sen­tirne mai davvero la man­can­za.

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Commento

  1. Sem­bra che siano pas­sati sec­oli, il tem­po oggi davvero corre molto veloce, te ne accor­gi anche da queste pic­cole cose, Giu­lia

  2. Quan­do guar­do la mia vec­chia macchi­na da scri­vere un po’ di nos­tal­gia, non so per­ché, la sen­to. Costan­za