Una madre costretta a partorire in carcere un figlio nato con una malformazione congenita. Un padre che dopo aver strangolato il figlio autistico di 26 anni viene scarcerato, guadagnandosi un invito a raccontare in prima persona la sua storia nei telegiornali della prima serata. Due vicende parallele che rischiano di passare inosservate nel giorno della grande discesa in campo di Walter Veltroni, il Mosè del popolo smarrito del centrosinistra che dal Lingotto di Torino ha dettato le sue tavole della legge. Due vicende che però rappresentano alla perfezione le contraddizioni di un’Italia sottosopra, che lascia in gattabuia chi ha appena messo al mondo un figlio, e restituisce subito la libertà, con tanto di lasciapassare televisivo, a chi ha appena ammazzato il suo.
Si dirà che la ragazza 21enne — una nomade — che alle tre del mattino del 24 giugno ha partorito il suo bambino nel carcere romano di Rebibbia Femminile merita di restare in carcere perché colpevole del reato di furto aggravato, per cui le è stata comminata una condanna a sei mesi (la certezza della pena, perbacco!). E che, viceversa, Calogero Crapanzano, il maestro in pensione di 60 anni che sabato scorso ha ucciso il figlio Angelo, soffocandolo con la corda da traino dell’auto, va capito e perdonato. In fondo ha agito in preda all’esasperazione, dopo anni di sofferta convivenza con il figlio autistico, senza che nessuno lo aiutasse a far ricoverare il ragazzo in centri specializzati. Quella che emerge da queste due vicende, però, è una società intransigente fino alla crudeltà con chi viola la proprietà privata — a patto che si tratti di un “pesce piccolo” naturalmente — e assai più magnanima con chi spezza una vita umana, specie se si tratta di quella di un disabile.
Il compito di giudicare Calogero Crapanzano spetta, ovviamente, alla magistratura. Qui sotto accusa è la scelta di due telegiornali come il Tg1 e il Tg2 di concedere il pulpito della prima serata a un omicida a distanza di pochi giorni dal delitto e senza nessun contraddittorio. Non quello impossibile con Angelo, che domani sarà sepolto a Palermo, e neppure quello con sua madre, che dopo la morte del figlio ha lasciato la casa di famiglia.
La tragedia siciliana poteva essere l’occasione per approfondire i problemi legati all’autismo e verificare se e perché i genitori di Angelo sono stati lasciati soli a gestire la situazione dalle istituzioni. Magari coinvolgendo associazioni come l’Angsa, Autismo Italia o Autismo e Futuro, che di recente ha denunciato il senso di abbandono della maggioranza delle famiglie romane che devono fare i conti con questa malattia. O, meglio ancora, l’Associazione Genitori Soggetti Autistici Siciliani, visto che il caso è avvenuto nell’isola.
Tg1 e Tg2, assuefatti alla tecnica assai poco giornalistica dell’intervista in ginocchio al politico di turno, hanno invece optato per la comoda scorciatoia dello scoop, limitandosi a cedere il microfono al diretto interessato. Ne è scaturito un racconto giustificazionista del delitto, che sembra approdare alla sgradevole conclusione che l’omicidio, in casi come questo, sia l’unica soluzione possibile. Tanto più che può anche scapparci un’apparizione in tv.
https://www.youtube.com/watch?v=2PGXuaj0-rE
Aggiornamento. L’8 novembre 2007 il gup Lorenzo Matassa ha condannato, col rito abbreviato, a nove anni e quattro mesi di reclusione Calogero Crapanzano. Nella motivazione della sentenza il gup ha escluso la premeditazione condividendo quando sostenuto dal legale di Crapanzano, Giuseppe Sciarrotta.
«Senza pietismo e vittimizzazioni, ma solo per comprovare al processo la verità di un fatto storico – scrive il magistrato nelle 20 pagine della motivazione letta in aula contestualmente al dispositivo – può affermarsi che le condizioni di vita familiare e sociale dell’imputato erano, al tempo della commissione del reato, condizionate dal pesante fardello di omissioni, incoerenze e fraintendimenti del sistema socio-sanitario in materia di salute che generano gravi compromissioni del diritto fondamentale previsto dalla Costituzione».
«Cosa fa lo Stato – si chiede il gup – per curare chi è colpito dal male autistico? In quale modo si tutela l’integrità delle famiglie che da questo male vengono travolte? La risposta triste e disarmante è purtroppo quella che implica l’assenza: nulla». Il magistrato definisce non efficiente la realtà in materia di cura, assistenza e ausilio alla malattia mentale.
Pur ribadendo che «l’assassinio non è tollerabile, né scusabile», il gup tiene conto del dramma di Crapanzano che, in solitudine, senza alcun aiuto delle istituzioni, «per quasi trent’anni ha dedicato interamente al figlio disabile la sua vita». Queste argomentazioni hanno indotto Matassa a concedere all’imputato le attenuanti generiche. «Non ci fu dramma della follia – conclude il magistrato – ma dramma della malattia».
La madre della vittima era stata citata come parte offesa dalla procura ma non si è costituita parte civile. Calogero Crapanzano, che grazie al rito abbreviato ha potuto godere dello sconto di pena di un terzo, resta comunque libero fino a quando la sentenza non diventerà definitiva.
Articolo pubblicato anche su Medium
La decisione di scarcerare o non carcerare penso sia giusto lasciarla ai magistrati, sono sempre molto restio a mettervi bocca.
Per il resto, sono d’accordo con il tuo post. La mancanza di giornalismo d’inchiesta in Italia penso, invece, sia una grave pecca del nostro sistema che andrebbe discussa a fondo. Molti giornalisti hanno dimenticato l’essenza del loro lavoro, credo anche perché l’inchiesta è osteggiata da molti direttori ed editori. Ci siamo abituati a telegiornali fatti di cronaca nera e parlamentare, dimenticando che il giornalismo serve non solo a raccontare fatti ma a far fare un’idea. Il giornalista dovrebbe scavare per vedere da dove nasce l’evento discusso, in questo caso cosa spinge un genitore ad uccidere suo figlio, dove erano le istituzioni, dove le associazioni, come vivono le famiglie con figli autistici. Farsi un’idea serve anche ad evitare di ripetere alcuni errori.
Ti ringrazio per il commento, che condivido. Tengo a precisare che quando ho scritto che “il compito di giudicare Calogero Crapanzano spetta, ovviamente, alla magistratura”, mi riferivo anche alla decisione di scarcerarlo o meno. A questo proposito, però, va sottolineato che nel caso della donna che ha partorito a Rebibbia la legge che prevede l’obbligo di misure alternative al carcere per le partorienti (la legge 40 del 2001) non è stata rispettata, perché pare che il Tribunale di Roma non abbia risposto alle richieste inviate dalla direzione di Rebibbia. A prescindere dalle reponsabilità, è un fatto grave anche perché, come ha sottolineato il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, “il parto è un fatto naturale, non una cosa straordinaria, e dunque trasferimenti e scarcerazioni sono ampiamente preventivabili anche per evitare ogni tipo di rischio ai nascituri e alle loro mamme”.
Sono genitore di un bimbo con autismo di 2 anni, e la notizia del dramma di Palermo mi ha molto toccato.
Sono d’accordo sul probabile errore dei telegiornali per come hanno presentato la notizia, anche se non li ho visti personalmente. Tuttavia ritengo che la scarcerazione del genitore in attesa del processo non sia affatto fuori luogo. La detenzione prima della sentenza deve essere motivata dal rischio di reiterare il reato o inquinare le prove e, chiaramente, non è questo il caso.
Riguardo il parto in carcere non ho parole. Evidentemente in Italia la giustizia è disuguale per tutti.
Il video dell’intervista del Tg1 ho avuto il tempo di inserirlo solo poco fa. Sulla scarcerazione del padre di Angelo non ho motivo di dubitare che fosse legittima, ma mi ha colpito molto la concomitanza con la notizia della donna costretta a partorire in carcere e separata dal figlio subito dopo. Notizia che, da quello che ho visto, non ha fatto altrettanto clamore. E’ questo l’aspetto che mi ha amareggiato di più, insieme al modo in cui è stato presentato in televisione il delitto di Palermo (e sui giornali che ho letto non ho trovato molto di meglio). Non è la prima volta, infatti, che di fronte a storie terribili come quelle di genitori che ammazzano i figli — in particolare figli disabili, tossicodipendenti o comunque problematici — le cronache cavalcano soltanto gli aspetti emotivi tralasciando tutto il resto, di solito sposando subito la tesi perdonista per via delle circostanze difficili. In un periodo in cui si fa un gran parlare di tesoretto e sostegno alle famiglie, la storia di Angelo avrebbe invece potuto e dovuto fornire lo spunto per un ragionamento sulle forme di aiuto e assistenza ai disabili in generale e sull’autismo in particolare. E’ certamente un modo di fare informazione che richiede uno sforzo in più, ma limitarsi a piazzare il microfono davanti alla bocca di un padre che ha appena ammazzato il figlio mi sembra — francamente — un po’ troppo. Se si giudica troppo complicata la strada dell’approfondimento, meglio riferire i fatti essenziali e nient’altro.
non sono molto d’accordo sulla polemica.
neppure io avrei fatto partorire in carcere la zingara, però tra lei e il padre omicida continuo a ritenere migliore il secondo.
in primo luogo perché il suo delitto lo ha commesso spinto dalla disperazione di anni e anni con un figlio disabile, dal momento che come fai rilevare giustamente tu la società non lo ha assistito, non vedo perché debba punirlo se lui ha deciso di uscirne così. il problema è stato “suo” per tutta la vita e lui ha voluto risolverlo appunto da solo e con gli strumenti che la solitudine in cui lo abbiamo costretto per anni gli ha dato.
come uomo e come giudice non riuscirei a biasimarlo più di tanto. e se fossi autistico probabilmente — potendo farlo — chiederei di essere fatto fuori.
la zingara: sua figlia non meritava di nascere in galera, ma sia chiaro che l’avrei fatta nascere in ospedale solo per il rispetto dovuto a questa nuova vita (innocente per definizione) e non certo per la madre.
perché — la differenza mi pare chiara: il padre non coinvolge terzi nella sofferenza (figlio a parte). i ladri e i topi d’appartamento invece, si. senza neppure l’attenuante di averli messi al mondo e assistiti fino al limite della sopportazione. per cui trovo più aberrante il furto che questo gesto disperato (perché furto probabilmente non di beni di prima necessità, perché guarda caso gli zingari che rapinano appartamenti non svuotano il frigo, trattandosi di fame e necessità, il che comprenderei e capirei, ma portano via soldi e altri beni voluttuari e non necessari).
in una parola: se hai fame e vai al ristorante e poi scappi via senza pagare, lo capisco. se ti infili in tasca la mia TV c’è qualcosa che non quadra.
ma si dirà Crapanzano è un omicida? oh certo! peccato che di omicidi di massa che fosforizzano intere città e promuovono guerre su grande scala siedono col titolo di onorevoli e viaggiano con gli onori da capi di stato.
se devo continuare a solidarizzare allora solidarizzo col “borghese piccolo piccolo” che uccide il figlio, fintanto che chi siede ai vertici della giustiza non si asterrà da crimini peggiori.
piuttosto che col borghese grande grande che manda un esercito a invadere altre nazioni, provocando ben più gravi atroci e ingiustificati omicidi.
insomma, non sono molto d’accordo col post.
E io non sono d’accordo con il tuo commento, ma ti ringrazio lo stesso perché mi offri l’assist per alcune ulteriori considerazioni.
Innanzitutto, mi spiace che il mio post ti abbia spinto a stilare una specie di classifica tra la donna che ha partorito in carcere e il padre che ha ucciso il figlio. Io ho messo a confronto le due vicende, ma mi guardo bene dall’assegnare pagelle morali o emanare sentenze su persone di cui conosco solo il poco che mi è stato raccontato da qualche sito web, articolo di giornale e servizio tv.
Sulla ragazza nomade, per esempio, so soltanto che ha 21 anni, che ha altri figli e che è stata condannata a sei mesi per furto aggravato. Non so che cosa abbia rubato e se lo abbia fatto per sfamarsi o per altri motivi. E nemmeno tu. Se alla sua vicenda fosse stato dedicato lo stesso spazio del delitto di Palermo, forse ne sapremmo entrambi di più.
Leggendo il resto del tuo commento mi sono ricordato che il motivo per cui ho scritto questo articolo è stata anche la previsione di reazioni come la tua alla notizia del padre che ha ucciso il figlio a Palermo. Il riferimento davvero infelice alla tua richiesta “di essere fatto fuori” se fossi autistico — che spero ti faccia arrossire almeno un po’ rileggendola — dà la misura di quale sia la tua considerazione per le persone che soffrono di questa malattia. Una considerazione che temo essere piuttosto diffusa.
Idem quando dici che quello del padre di Palermo era un problema “suo” che non ha coinvolto terzi nella sofferenza, mettendo il figlio tra parentesi (ma lui, secondo te, voleva essere fatto fuori) e scordandoti del tutto la madre, che forse — converrai con me — qualche diritto di decisione sul figlio l’aveva al pari del marito. Non a caso pare che se ne sia andata di casa subito dopo l’omicidio.
Dando un’occhiata al tuo blog mi sono imbattuto nel post in cui parli di una gattina “piangente, tremante, sola e affamata”, che tu e la tua ragazza avete soccorso. Premesso che condivido i tuoi stessi sentimenti nei confronti di “tutti i bastardi che rendono ogni giorno la vita degli animali un inferno”, mi sarei aspettato che tu riservassi almeno altrettanta pietà al figlio autistico ammazzato dal padre. Se non altro ti sei ricordato, giustamente, dei diritti dell’altro figlio nato in carcere, “innocente per definizione”. Faccio però notare che è nato con una malformazione congenita, e che quindi, stando al tuo “ragionamento”, potrebbe valere anche per lui la richiesta di essere fatto fuori.
A proposito della distinzione che fai tra il furto compiuto dai topi di appartamento e l’omicidio del padre, al posto del sottoscritto ti risponde il codice penale, per cui l’omicidio — almeno in teoria — è punito più severamente del furto, senza fare distinzioni tra borghesi piccoli, borghesi grandi grandi, nomadi e proletari. Poi ci sono attenuanti e aggravanti, ma la distinzione tra i due reati è chiara. E meno male. Solo per il codice penale, però, perché — come ho già scritto nel post — nella pratica, e nell’opinione di persone come te, spesso la proprietà privata merita una tutela maggiore della vita, specie se si tratta di quella di un disabile.
Invece di indignarsi per uno stato che spende miliardi di euro in sedicenti missioni di “pace” e grandi opere utili soprattutto ad arraffare tangenti, destinando le briciole al welfare, la maggioranza della gente, dietro suggerimento dei Tg, preferisce commuoversi quando un padre — poverino — è “costretto” ad ammazzare il figlio perché non ce la fa più. Ed è questa la cosa che mi fa incazzare di più.
il dibattito è interessante.
ma vorrei chiarire:
punto primo: non volevo fare una statistica più di quanto tu non abbia innescato una polemica controversa. credo che entrambi siamo animati dalle stesse intenzioni (buone o cattive): ossia tentare un confronto dei due casi, tenendo bene presenti i limiti delle nostre conoscenze in merito. per cui — come te — non intendo ergermi a giudice assoluto ma vorrei solo dire le mie impressioni.
del “riferimento infelice” non vedo perché arrossire. ti assicuro che non ho un bel niente da rimproverarmi su questo punto, per cui rinvio gentilmente a te questa osservazione.
ci tengo solo a precisare che esistono casi e casi di autismo, dai più semplici e meglio trattabili ai più disperati. credo che le uniche persone che possano parlare con vera cognizione di causa siano quelli che COME il padre di Palermo convivano con questo problema. quantomeno la mia opinione è infondata come la tua. immagino tuttavia che quel padre avesse molte più informazioni di noi. lungi da me ritenerlo un eroe, ma non credo umanamente e razionalmente di poterlo condannare come fai tu.
il che non vuol dire che non abbia pietà per quel figlio, ma ho altrettanta pietà per quel padre. se poi questo lo chiami commuoversi, non direi, è semplicemente riconoscere le attenuanti a chi è assai più disperato di me e te che chiaccheriamo del più e del meno.
personalmente credo che se fossi incapace di intendere e volere potrei tranquillamente affidarmi al giudizio di chi amo: che mi faccia fuori o mi faccia vivere la cosa è assolutamente irrilevante. vorrei che decidesse secondo quello che è meglio per me (e sarei certo che sceglierebbe bene). posto che il mio impedimento sia tale da non consentirmi una vita ragionevolmente tollerabile. questo vale anche per i figli malformati: dipende molto da che cosa comporta la malformazione.
in questo caso di Palermo parlerei di atto di eutanasia e umana pietà. e solo di omicidio in senso tecnico. e torno a dire: mi fa più schifo un criminale comune di un padre che uccide il figlio perché non sopporta più (immagino) di vederlo soffrire.
come vedi niente di cui vergognarmi, ma andar fiero a testa alta.
poi ognuno è libero di avere le sue idee. le tue sono altrettanto legittime delle mie anche se diverse, ma io almeno non cerco di farti sentire in colpa.
un po’ di umiltà ti migliorerebbe.
con la massima amicizia e cordialità
Caro Furio, ti ringrazio per il nuovo commento e apprezzo il fatto che tu abbia tenuto a precisare alcuni punti. Per esperienza diretta, so benissimo che scrivendo si può essere fraintesi, anche perché spesso — per necessità di sintesi — si tralasciano alcuni passaggi.
Fatta questa premessa, continuo a ritenere infelice la tua uscita su un’ipotetica decisione di essere fatto fuori se fossi autistico, proprio perché si tratta di un’ipotesi non verificabile che delega al padre diritto di vita e di morte sul figlio, che forse sul suo omicidio avrebbe avuto qualcosa da ridire. E lo stesso discorso vale per la madre, che anche le cronache sul delitto hanno curiosamente relegato in un angolino.
Se può servire a farmi apparire più umile, ti assicuro che qualche volta, rileggendo col senno di poi alcune cose che ho scritto, mi è capitato di arrossire e desiderare di non averle mai scritte, o di averlo fatto in modo diverso. Non mi è capitato spesso solo perché, nei limiti del possibile, cerco di pesare accuratamente le parole che uso. Il mio auspicio che tu arrossissi non era un modo per farti sentire in colpa, ma piuttosto un invito a riflettere di più sulle implicazioni di quello che hai scritto, nella speranza — poco umile, lo ammetto — di essere riuscito a farti cambiare idea. Almeno un po’.
Per il resto, ti chiedo soltanto di non attribuirmi cose che non ho mai scritto, come la condanna del padre di Angelo. Nel mio ultimo commento e in quelli precedenti ho già sottolineato più volte che il compito di giudicare, ed eventualmente condannare, spetta ai giudici, tenendo conto delle attenuanti e delle circostanze in cui è maturato il delitto. Io mi sono limitato a non sposare subito il giustificazionismo diffuso e a condannare — questo sì — il modo in cui è stata data la notizia da Tg1 e Tg2 (senza dimenticare il sostanziale silenzio che ha accompagnato la notizia della donna costretta a partorire in carcere).
Posso anche aggiungere che, pur non giustificando il gesto del padre, il fatto che sia condannato o meno dalla magistratura mi è tutto sommato indifferente, visto che nessuna condanna potrà riportare in vita Angelo. Non auspico, tanto meno, una dura condanna e non mi interessano le divisioni “alla Cogne” tra innocentisti e colpevolisti. Piuttosto mi auguro che da una vicenda tragica come questa scaturisca un dibattito pubblico serio sull’autismo e, più in generale, sulla disabilità. In merito, tuttavia, non mi faccio troppe illusioni, perché l’handicap è argomento da grande audience solo quando sfocia in casi eclatanti come questo.
Non riesco però a seguirti, con tutta la buona volontà, sul terreno del confronto tra il delitto di Palermo e i reati commessi dai criminali comuni, che mi sembra introdurre il principio — potenzialmente pericoloso — del diritto soggettivo di dare la morte a qualcun altro, almeno in casi che vedono coinvolte persone “incapaci di intendere e di volere”. Mi rendo anche conto che si tratta di un terreno minato che può sfociare in discussioni infinite su eutanasia, pena di morte, testamento biologico, aborto, guerre preventive e così via.
Si potrebbe discutere anche sul fatto che Angelo fosse davvero incapace di intendere e di volere, e se un cavo da traino per auto attorno al collo possa essere considerato una forma di eutanasia, ma mi limito a farti presente che, secondo la versione dei fatti fornita dallo stesso Crapanzano nell’intervista mandata in onda da Tg1 e Tg2, il suo è stato un raptus frutto dell’esasperazione per la difficile convivenza col figlio, non un atto di umanità per mettere fine alle sue sofferenze.
Per chiudere, preciso soltanto che per me queste non sono chiacchiere del più o del meno. Se le considerassi solo chiacchiere, probabilmente non mi sarei nemmeno preso la briga di scrivere. Se l’ho fatto subito, appena appresa la notizia, è perché la vicenda e il modo in cui è stata riferita mi ha colpito molto.
Quanti disabili dovranno ancora morire per mano di un genitore disperato perché abbandonato a se stesso dalle istituzioni? Sembra che queste ultime non possano fare altro che concedere una sorta di “licenza di uccidere ” come partecipazione alla disperazione di chi vive per anni (l’ultimo assassino 26) nella solitudine pressoché totale,a parte le sporadiche pacche sulle spalle e niente più. Non spetta a me giudicare l’assassino ma cerco di immedesimarmi nella disperazione e solitudine nella quale ha agito e nella quale, penso, ricadrà ancora più di prima.
Chi si misura quotidianamente con la disabilità vorrebbe la reale attenzione delle istituzioni e la tragedia di Palermo, come le innumerevoli che l’hanno preceduta, potrebbe servire ad approfondire le conoscenze sull’autismo e la disabilità in generale; la notizia data al telegiornale sembra non stia avendo nessuno strascico utile alla conoscenza dell’handicap ma solo il riconoscimento che l’esasperazione può far compiere un gesto che rimane impunito. Non cambierà mai nulla? Ci risentiamo al prossimo assassinio.
Annunciata
Non sono così pessimista circa i servizi sociali e da un singolo dramma, che va considerato nelle sue specifiche circostanze, non si deve arrivare immediatamente a concludere per un generale stato di abbandono per i disabili e le loro famiglie. La situazione non è così disperata, anche se naturalmente occorre battersi per offerte di sostegno sempre più adeguate e specifiche per la singola famiglia. Concordo invece nel criticare l’uso sbrigativo che fa l’informazione di questi drammatici avvenimenti e il rischio di avallare e giustificare l’idea di una sorta di “soluzione finale” come via d’uscita necessaria e ineluttabile che, paradossalmente e involontariamente, può trovare pezze d’appoggio nelle affermazioni, non realistiche, di abbandoni totali e generalizzati da parte della società e delle istituzioni.
Antonio
Concordo, per motivi diversi, con entrambi i commenti precedenti di Annunciata e Antonio, che sono riusciti a sintetizzare efficacemente — grazie! — alcune delle questioni sollevate dal delitto del giovane autistico avvenuto in Sicilia. Istintivamente tendo a condividere la tesi più pessimista di Annunciata, ma riconosco anche che Antonio ha ragione quando sottolinea che da un singolo dramma non si deve subito arrivare a concludere per un generale stato di abbandono dei disabili e delle loro famiglie.
Alcune vicende analoghe e i risultati di ricerche come quella condotta da Autismo e Futuro, che ho citato all’interno del post, sembrano purtroppo confermare che il sostegno fornito alle famiglie non sia adeguato — o almeno questa è la percezione dei diretti beneficiari del sostegno, visto che nel caso di Autismo e Futuro si trattava dell’elaborazione di risposte ottenute attraverso la distribuzione di un questionario — ma è probabile che la situazione non sia identica ovunque. E, come ha suggerito giustamente Antonio, bisogna fare molta attenzione a non eccedere in catastrofismo per evitare che possa trasformarsi, con una sorta di effetto-boomerang, in un avallo di quella che Annunciata ha definito la “licenza di uccidere”.
Salve a tutti sono la mamma di un bimbo autistico di quasi 5 anni, riguardo a ciò che è successo a Palermo credo che il padre non doveva essere scarcerato in quanto tutti coloro che sono abbandonati dalle istituzioni (e credetemi sono parecchi) possano avere il diritto di uccidere un figlio con questo handicap non sta a me giudicare il gesto ma credo che comunque la legge vada rispettata da tutti in effetti il ragazzo autistico non è un “oggetto” ma una persona a cui si devono dare cure adeguate che purtroppo ahime non sempre ci sono. Speriamo che si riesca a fare molto di più per i nostri ragazzi ma farlo concretamente non con le chiacchiere di cui ci bombardano da tanti anni e poi come sempre non se ne fa nulla.
Per quanto riguarda la donna che ha partorito credo che si sarebbe dovuto avere quel minimo di umanità nell’aiutare questa persona, questo fa solo capire come il nostro mondo sta cambiando… ma in peggio
Amelia
L’art. 146 del Codice Penale prevede il rinvio obbligatorio della pena per la donna incinta o con prole inferiore a 1 anno di vita. Questo articolo è stato modificato dalla legge 40/2001. Come è potuto accadere? Quante leggi rimangono solo sulla carta. Questo lo sappiamo tutti, ma perché nessuno fa qualcosa. E’ più facile fare una nuova legge e farsi belli?
La discussione è interessante. Non conosco l’autismo, né ho un figlio ma questo non mi impedisce di contribuire alla discussione. Non conosco il motivo che ha spinto tg1 a mandare l’intervista con il papà della persona assassinata. Da cittadino mi piacerebbe pensare che l’intervista fosse dovuta più ad una provocazione verso gli italiani e non semplicemente ad una telecronaca giustificatoria di un omicidio. Perché di questo fino a prova contraria si tratta. Omicidio… e a me non mi va di sentire parlare sulla rete del servizio di stato un omicida! Possono esserci le attenuanti di una vita (vorrei sentire a tal proposito anche la moglie che è andata via di casa) ma questo credo non basti minimamente per solidarizzare con l’omicida. Quanti disabili ci sono in Italia?? ..mi verrebbe da dire.. ammazziamoli tutti perché i genitori non ce la fanno a vivere e tutti siamo più contenti! O dentro o fuori. Il pensiero e l’azione devono essere DENTRO O FUORI, BIANCO O NERO. Ogni realtà è ricca di infinite sfumature ma non dobbiamo arrivare a utilizzare di volta in volta quelle più comode per stravolgere la realtà dei fatti. Ci saranno decine di migliaia di famiglie con figli disabili ma non per questo la loro vita (nonostante la inefficienza di tanta parte dello stato) è triste o invivibile e se lo è non si arriva certo ad uccidere un figlio. VUOI UCCIDERE? ..ne paghi le conseguenze ma senza tv (la responsabilità delle nostre testate e redazioni, da tempo covi salottieri di vallette e onorevoli criminali, nel fornire della realtà una visione distorta è quasi assoluta)!
sono veramente indignata di quanto accaduto,e per di più questa persona l’ho conosciuta realmente.…..! per me bisognerebbe chiuderlo in carcere e buttare via la chiave.…
Sono una mamma di una bambina autistica di 7 anni è vero ke nn c’è aiuto x noi genitori di bambini diversamente abili ma questo non ci giustifica ne ci dovrebbe dare l’immunità nel trasgredire le leggi. Un omicidio resta sempre un crimine da punire x quanto può essere giustificato.
Si nessuno può togliere la vita a nessuno, però vi posso garantire che vivere con questa maledetta malattia “AUTISMO” non è facile, mi rivolgo a tutti i genitori di bambini autistici facciamoci sentire sennò il nostro destino è segnato.….…L’Autismo fa paura a tutti anche alle istituzioni.…
In tv invece di dare grande fratello alle 21:00 che facciano un servizio di come vivono le famiglie (DISPERATE) con figli autistici.….….…