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Karoli­na Zdziar­swa è mor­ta a cinque anni per­ché si è trova­ta al pos­to sbaglia­to nel momen­to sbaglia­to. Nel­la cuci­na di casa sua, in brac­cio al papà, quan­do un uomo ha deciso di risol­vere con due colpi di pis­to­la una ris­sa scop­pi­a­ta poco pri­ma in un bar. Il padre ha cer­ca­to di rian­i­mar­la, è cor­so in stra­da, ha urla­to per chiedere aiu­to, in pre­da alla dis­per­azione ha anche sfonda­to il vetro del­la fines­tra di una casa, ma nes­suno è inter­venu­to. I vici­ni evi­den­te­mente non c’er­a­no e, se c’er­a­no, dormi­vano. Quan­do sul pos­to sono arrivati — final­mente — i soc­cor­ri­tori, per Karoli­na, col­pi­ta da un proi­et­tile alla tes­ta, non c’era più nul­la da fare.

Il fat­to risale alla notte tra il 4 e il 5 mag­gio ed è avvenu­to a San Pao­lo Bel­si­to, un paesino di 3.600 ani­me nei pres­si di Nola, in provin­cia di Napoli. Soltan­to una set­ti­mana pri­ma la morte del­la 23enne Vanes­sa Rus­so, uccisa nel­la met­ro­pol­i­tana di Roma da una coetanea di nazion­al­ità rume­na che le ave­va infilza­to un ombrel­lo in un occhio, ave­va provo­ca­to una tem­pes­ta medi­at­i­ca che non si era anco­ra pla­ca­ta. La breve vita di Karoli­na, invece, è scivola­ta via sen­za clam­ore nel rigag­no­lo delle bre­vi di cronaca nera, des­ti­nate a essere sos­ti­tu­ite fin dal giorno suc­ces­si­vo sulle pagine dei gior­nali. E dimen­ti­cate altret­tan­to in fret­ta.

Non è un caso. Karoli­na, infat­ti, ave­va un difet­to imper­don­abile. Era polac­ca. Il suo assas­si­no, vicev­er­sa, si chia­ma Alessan­dro Ric­car­di ed è un ital­ianis­si­mo operaio di 32 anni. Per di più incen­sura­to, come si sono subito pre­mu­rate di pre­cis­are le cronache, derubri­can­do di fat­to la vicen­da nel­la cat­e­go­ria delle dis­gra­zie acci­den­tali. La Pada­nia, che a nazion­al­ità inver­tite avrebbe sicu­ra­mente pro­mosso ronde e fiac­co­late di protes­ta, ha sot­to­lin­eato per esem­pio che Ric­car­di «sec­on­do quan­to ha rac­con­ta­to ai mil­i­tari non vol­e­va uccidere nes­suno, tan­to meno una bam­bi­na, vol­e­va solo spaventare il cit­tadi­no polac­co, i proi­et­tili — ha det­to — han­no rag­giun­to la pic­co­la acci­den­tal­mente».

La mag­i­s­tratu­ra non ha dub­bi e accusa Ric­car­di di omi­cidio pre­med­i­ta­to, ma il quo­tid­i­ano leghista, alle prese con una notizia che coz­za con la sua con­sue­ta lin­ea edi­to­ri­ale, si arrampi­ca sug­li spec­chi ten­tan­do di accred­itare la ver­sione del­l’in­ci­dente. Karoli­na, insom­ma, come Car­lo Giu­liani, ucciso “acci­den­tal­mente” al G8 di Gen­o­va non dal cara­biniere che gli ha spara­to da dis­tan­za ravvi­c­i­na­ta ma dal cal­ci­nac­cio che, sec­on­do una delle per­izie dis­poste dal­la procu­ra, avrebbe malau­gu­rata­mente devi­a­to la trai­et­to­ria del proi­et­tile.

Nes­sun accen­no da parte del gior­nale del­la Lega ai vici­ni di casa che avreb­bero fat­to orec­chie da mer­cante alle richi­este di aiu­to del padre del­la bam­bi­na. Per la Pada­nia, anzi, Karoli­na «è sta­ta por­ta­ta subito al pron­to soc­cor­so del­l’ospedale di Nola». A con­fer­ma, poi, che tut­ti i mali ven­gono dal­l’Est viene pre­cisato che a uccider­la è sta­ta «una pis­to­la di mar­ca cecoslo­vac­ca para­bel­lum con quat­tro car­tuc­ce nel car­i­ca­tore». Appren­den­do che il colpo mor­tale non è par­ti­to da una Beretta fab­bri­ca­ta a Bres­cia, i let­tori leghisti avran­no tira­to un sospiro di sol­lie­vo.

Se dal­la Pada­nia non era lecito atten­der­si di meglio, e tan­to meno un accen­no di mea cul­pa per le sue quo­tid­i­ane bor­date anti-immi­grati, va comunque sot­to­lin­eato che la notizia è sta­ta trat­ta­ta allo stes­so modo da qua­si tutte le tes­tate, sen­za par­ti­co­lari dis­tinzioni. Di morte «per errore», per esem­pio, han­no par­la­to fin dal tito­lo la Repub­bli­ca e la Stam­pa sui rispet­tivi siti web, tan­to da spin­gere Gen­naro Carotenu­to a bol­lare il tut­to come ordi­nario razz­is­mo infor­ma­ti­vo: «Che l’as­sas­sinio del­la pic­co­la Karoli­na sia sta­to un errore — ha scrit­to sul suo sito — lo con­fer­ma il fat­to che la bam­bi­na è sta­ta uccisa con un colpo di pis­to­la, un ogget­to noto­ri­a­mente atto a riparar­si dal­la piog­gia e sen­z’al­tro non atto ad offend­ere. Niente a che vedere con il caso di Vanes­sa Rus­so a Roma. La ragaz­za ital­iana è sta­ta uccisa da due put­tane romene con un ombrel­lo, arma da guer­ra che gli extra­co­mu­ni­tari (e se vi dicono che la Roma­nia è nel­l’U­nione Euro­pea non cre­de­tegli, bas­ta guardare le fac­ce!), noto­ri­a­mente uti­liz­zano per dare la morte agli ital­iani. In questo caso la ver­sione del­l’as­sas­si­na, una lite che avallerebbe la preter­in­ten­zion­al­ità del gesto, viene respin­ta con sdeg­no. È rume­na e fa la put­tana e se è usci­ta con l’om­brel­lo quel­la mat­ti­na è sta­to sicu­ra­mente per uccidere».

Analo­ga, nel­la sostan­za, la rif­les­sione del gior­nal­ista di Repub­bli­ca Gio­van­ni Maria Bel­lu, che ha fat­to notare come la notizia del­l’omi­cidio di Karoli­na fos­se accom­pa­g­na­ta — sia nel lan­cio del­l’Ansa, sia nei notiziari radio­foni­ci — dal­l’avver­bio “acci­den­tal­mente”. Un avver­bio che, al con­trario, non è mai sta­to uti­liz­za­to nel riferire del­la morte di Vanes­sa Rus­so nel­la met­ro­pol­i­tana di Roma. «L’omi­cidio, forse acci­den­tale (lo sta­bili­ran­no i mag­is­trati) commes­so da una rume­na su una ragaz­za ital­iana — ha con­clu­so Bel­lu — è sta­to subito pre­sen­ta­to come “volon­tario”. Men­tre l’omi­cidio cer­ta­mente volon­tario commes­so da un ital­iano su una bam­bi­na polac­ca è subito diven­ta­to “acci­den­tale”».

La maggioranza invisibile che non ha paura degli immigrati

Nel frat­tem­po, a fine mag­gio un sondag­gio Swg con­dot­to per il set­ti­manale mon­dado­ri­ano Don­na Mod­er­na ha riv­e­la­to che qua­si un ital­iano su due — il 46 per cen­to di un cam­pi­one strat­i­fi­ca­to di cinque­cen­to per­sone — ammette di aver pau­ra degli immi­grati, per­ché «sono trop­pi e non lavo­ra­no, per vivere rubano, spac­ciano, com­pi­ono atti crim­i­nali e in ogni caso sono dei “diver­si” che incu­tono tim­o­re, anche per­ché la mag­gior parte di loro si tro­va in Italia in con­dizione di clan­des­tinità». Quel­lo sti­la­to dal­la Swg è un triste cam­pi­onario di luoghi comu­ni, pregiudizi e fal­sità che non trovano riscon­tro nei dati reali. Stan­do ai fat­ti, e non alle percezioni sogget­tive, le per­sone immi­grate clan­des­ti­na­mente in Italia sono infat­ti solo 600mila, pari a meno di un quin­to del totale. E il 72 per cen­to degli immi­grati nel nos­tro Paese ha un lavoro (men­tre tra gli ital­iani la stes­sa per­centuale è del 58 per cen­to). Dunque si pre­sume che non abbiano nec­es­sari­a­mente bisog­no di rubare, spac­cia­re o com­piere altri atti crim­i­nali per cam­pare. Sem­pre che non si pen­si che lo fac­ciano per hob­by o per inna­ta pre­dis­po­sizione.

La reazione dei politi­ci, per lo più del­l’op­po­sizione, ai risul­tati del sondag­gio non si è fat­ta atten­dere. «Ci ave­va già pen­sato il buon sen­so e le elezioni, ora anche un sondag­gio riv­ela che sul­l’im­mi­grazione il gov­er­no guida­to da Romano Pro­di sta sbaglian­do tut­to — ha com­men­ta­to per esem­pio Pao­lo Gri­mol­di, dep­u­ta­to del­la Lega Nord e coor­di­na­tore fed­erale del Movi­men­to Gio­vani Padani — La pre­sen­za incon­trol­la­ta di immi­grati, clan­des­ti­ni o meno, è un prob­le­ma che i cit­ta­di­ni, soprat­tut­to al Nord, vivono sul­la pro­pria pelle. Con­tin­uare a pro­porre, come fa questo gov­er­no, sceller­atezze quali la cit­tad­i­nan­za facile, le fron­tiere aperte o il voto agli immi­grati aumen­ta la pau­ra dei nos­tri cit­ta­di­ni. Pro­di, dopo la bas­to­na­ta delle elezioni ammin­is­tra­tive, avrebbe dovu­to capir­lo».

Per Isabel­la Bertoli­ni, vicepres­i­dente dei dep­u­tati di Forza Italia, «sono dati estrema­mente pre­oc­cu­pan­ti. Gli ital­iani sono ter­ror­iz­za­ti dal­l’in­va­sione di immi­grati. Il sondag­gio del­la Swg rilan­cia il prob­le­ma del­l’in­ca­pac­ità e del­l’i­nadeguatez­za del gov­er­no Pro­di sui temi del­la sicurez­za e del­la legal­ità. La situ­azione è dram­mat­i­ca. È da irre­spon­s­abili, in questo quadro di rifer­i­men­to, prevedere una rifor­ma del­la nor­ma­ti­va sul­l’im­mi­grazione, la Ama­to-Fer­rero, che con­sente mag­giori ingres­si attra­ver­so l’au­tospon­sor, un minor con­trol­lo del ter­ri­to­rio a causa del­la chiusura dei Cpt e la con­ces­sione del voto agli extra­co­mu­ni­tari».

Le ha fat­to eco la col­le­ga di par­ti­to Jole San­tel­li, respon­s­abile sicurez­za e immi­grazione (sig­ni­fica­ti­vo, di per sé, il con­tin­uo accosta­men­to dei due ter­mi­ni) di Forza Italia, sec­on­do la quale «al sen­so di insi­curez­za che per­vade il Paese non si risponde con lezioni acca­d­e­miche e socio-filoso­fiche, né tan­tomeno con quin­ta­late di buon­is­mo ma con politiche di sicurez­za reali, che questo gov­er­no è inca­pace di attuare». Per la dep­u­ta­ta, i dati del sondag­gio Swg «non stupis­cono ma cer­ti­f­i­cano che questo gov­er­no è asso­lu­ta­mente ina­dat­to a gov­ernare. Le politiche sul­l’im­mi­grazione che sta por­tan­do avan­ti van­no con­tro ogni log­i­ca e, soprat­tut­to, van­no con­tro le esi­gen­ze pri­marie dei cit­ta­di­ni».

A stupire, in realtà, è la let­tura super­fi­ciale e inter­es­sa­ta dei risul­tati del sondag­gio Swg che traspare da tutte queste reazioni. Il dato più sig­ni­fica­ti­vo, infat­ti, è l’u­ni­co che non è mai sta­to cita­to nelle notizie che han­no rifer­i­to del sondag­gio e delle rel­a­tive reazioni. Ovvero quel 54 per cen­to di ital­iani che, stan­do a una let­tura a rovescio dei risul­tati, non ha pau­ra degli immi­grati. Ovvero una mag­gio­ran­za asso­lu­ta e trasver­sale, supe­ri­ore ai con­sen­si ottenu­ti dalle coal­izioni di destra e sin­is­tra alle ultime elezioni politiche, che avrebbe assi­cu­ra­to a Pro­di la pos­si­bil­ità di gov­ernare con molto meno affan­no. Ovvero un nutri­to manipo­lo di irriducibili cuor di leone che fino­ra han­no resis­ti­to caparbia­mente al tam-tam del­la pau­ra, suona­to sen­za soluzione di con­ti­nu­ità da una parte con­sis­tente del mon­do politi­co e del­la cosid­det­ta infor­mazione.

Il dato, tan­to eccezionale quan­to trascu­ra­to, di ques­ta mag­gio­ran­za tenace­mente sor­da alle sirene del­la xeno­fo­bia è sfug­gi­to anche al min­istro del­la Sol­i­da­ri­età sociale, Pao­lo Fer­rero, che però, nel com­mentare il sondag­gio Swg, ha colto almeno uno degli aspet­ti del prob­le­ma: «Si par­la degli immi­grati solo quan­do questi ulti­mi com­pi­ono un reato, men­tre invece il fat­to che i nos­tri anziani sono accu­d­i­ti in gran parte da immi­grati, le fonderie come le cam­pagne ital­iane pro­d­u­cano gra­zie al lavoro di tante per­sone venute dal resto del mon­do non fa mai notizia. A dom­inare l’oriz­zonte del­l’in­for­mazione è l’in­dus­tria del­la pau­ra, che costru­isce intorno all’im­mi­gra­to la figu­ra del capro espi­a­to­rio, su cui far ricadere ogni allarme e tim­o­re sociale».

Spaventa et impera

L’in­dus­tria del­la pau­ra cui ha accen­na­to Fer­rero risponde a neces­sità var­ie­gate. Da un lato garan­tisce a una parte del ceto politi­co, quel­la che non si fa scrupo­lo di cav­al­care gli istin­ti peg­giori del pro­prio elet­tora­to, facili con­sen­si. Basti pen­sare ai tan­ti politi­ci che han­no fat­to del con­trasto sen­za se e sen­za ma all’im­mi­grazione il pro­prio mar­chio di fab­bri­ca. Dal­l’al­tro assi­cu­ra un otti­mo diver­si­vo su cui dirottare atten­zione e frus­trazioni del­l’opin­ione pub­bli­ca, spes­so e volen­tieri anche con l’o­bi­et­ti­vo di far pas­sare inosser­vati, dietro ques­ta corti­na fumo­ge­na fat­ta di stereotipi e pregiudizi, i pro­pri intral­lazzi.

Come ha ricorda­to Car­lo Gambescia, il soci­ol­o­go nor­damer­i­cano Bar­ry Glass­ner, autore di uno stu­dio sul­la “cul­tura del­la pau­ra” negli Sta­ti Uni­ti e noto anche al pub­bli­co ital­iano per un apparizione nel film di Michael Moore “Bowl­ing a Columbine”, «ha chiar­i­to molto bene come le voci su micro­bi incon­trol­la­bili, cri­m­i­ni orren­di, inci­den­ti, spara­to­rie, amplifi­cate ad arte dai media (facen­done, lib­ri, film e spe­ciali tele­vi­sivi), siano in realtà stru­men­ti per con­trol­lare la gente. Forme di con­trol­lo sociale. Dopo l’11 Set­tem­bre, gli Sta­ti Uni­ti han­no sem­plice­mente sos­ti­tu­ito, come “peri­co­lo numero uno”, al nero e all’im­mi­gra­to, il ter­ror­ista “islam­i­co asse­ta­to di sangue”. Sec­on­do Glass­ner tut­to ciò serve a tute­lare i priv­i­le­gi delle élite politiche, eco­nomiche, cul­tur­ali e mil­i­tari al potere (priv­i­le­gi cui si aggrap­pano, non cre­den­do più in altro). Di rif­lesso i veri dis­a­gi sociali (povertà, dis­oc­cu­pazione, mar­gin­al­ità cul­tur­ale) sono così occul­tati, men­tre i dati sui peri­coli, spes­so “irre­ali”, ven­gono ingrandi­ti per sem­i­nare pau­ra e imporre ubbi­dien­za».

La let­tura di Glass­ner, tara­ta sulle carat­ter­is­tiche del­la soci­età a stelle strisce, può essere appli­ca­ta anche alla realtà ital­iana, rispet­to alla quale sono però pos­si­bili e oppor­tune alcune inte­grazioni. Va tenu­to pre­sente, per esem­pio, che a dif­feren­za degli Sta­ti Uni­ti e degli altri Pae­si occi­den­tali, in Italia la clas­si­ca definizione del­la stam­pa come “quar­to potere” — cane da guardia al servizio dei cit­ta­di­ni rispet­to a quel­li leg­isla­ti­vo, esec­u­ti­vo e giudiziario — può essere con­sid­er­a­ta, nel­la migliore delle ipote­si, solo un aus­pi­cio. In vasti set­tori del­l’in­for­mazione, soprat­tut­to quel­la tele­vi­si­va ma non solo, più che un potere alter­na­ti­vo, infat­ti, i media ital­iani sono una suc­cur­sale di quel­lo politi­co, al quale sono legati a doppio e trip­lo filo.

L’e­sem­pio più annoso e scon­ta­to di questo vas­sal­lag­gio è quel­lo del­la par­ti­tocrazia che, a brac­cet­to con il nepo­tismo, reg­na da sem­pre sul­la Rai, a dis­pet­to delle ricor­ren­ti promesse di rifor­ma. Le dichiarazioni di pochi sec­on­di su tut­to lo sci­bile umano dei politi­ci del­l’in­tero arco cos­ti­tuzionale, che occu­pano buona parte del­lo spazio nei tg del servizio pub­bli­co, ne sono invece l’e­spres­sione più lam­pante e, allo stes­so tem­po, depri­mente. La pre­sen­za di più ref­er­en­ti, con inter­es­si e pri­or­ità tal­vol­ta in con­flit­to, ha però per­me­s­so che all’in­ter­no del­l’in­for­mazione tar­ga­ta Rai soprav­vivesse almeno un po’ di plu­ral­is­mo.

Non si può dire altret­tan­to del­la monar­chia Medi­aset, dove la “cul­tura del­la pau­ra” — specie dopo il ritorno di Berlus­coni a Palaz­zo Chi­gi nel 2001 — ha trova­to un ter­reno anco­ra più fer­tile. È pro­prio sul fronte del­l’in­for­mazione di Canale 5, Italia 1 e Rete­quat­tro, infat­ti, che si pos­sono indi­vid­uare con più facil­ità gli ele­men­ti che con­fer­mano un uti­liz­zo dei media come for­ma di con­trol­lo sociale che ricor­da quel­lo sug­ger­i­to da Glass­ner. Già nel 2002 in un’anal­isi sul­l’a­gen­da dei tele­gior­nali del prime time — la fas­cia oraria con il mag­gior numero di tele­spet­ta­tori — l’Osser­va­to­rio di Pavia met­te­va in luce, per esem­pio, l’as­so­lu­ta atipic­ità di Stu­dio Aper­to, il notiziario di Italia 1 con­sacra­to ai temi del­la cronaca, in cui pre­dom­i­nano l’at­ten­zione su cronaca nera, cronaca rosa, mon­dan­ità, curiosità varie, spet­ta­co­lo e tele­vi­sione, a dis­capi­to dei temi eco­nomi­ci e di polit­i­ca ital­iana e inter­nazionale. Un approc­cio che per i ricer­ca­tori «è il risul­ta­to di una strate­gia comu­nica­ti­va impronta­ta alla leg­gerez­za e alla pro­mozione dei pro­pri pro­gram­mi tele­vi­sivi».

A dis­tan­za di alcu­ni anni l’im­postazione del tg di Italia 1 è rimas­ta sostanzial­mente la stes­sa. Lo dimostra un’al­tra ricer­ca del feb­braio 2005 cura­ta sem­pre per l’Osser­va­to­rio di Pavia da Manuela Mal­chio­di, che a propos­i­to di Stu­dio Aper­to rib­adisce che «l’im­pronta cronachis­ti­ca è evi­dente e pres­soché esclu­si­va». Il notiziario, pros­egue l’anal­isi, «appare, in pri­mo luo­go, come un tele­gior­nale che par­la di tele­vi­sione: se si escludono una notizia sul cin­e­ma e una ded­i­ca­ta a uno spet­ta­co­lo di cabaret, la cronaca tele­vi­si­va esaurisce la più impor­tante macro-area, “Cul­tura-Spet­ta­co­lo”. Una cer­ta autoref­eren­zial­ità è pre­sente anche nel­la sec­on­da area tem­at­i­ca, “Cronaca rosa”, dal momen­to che buona parte dei Vip di cui si rac­con­tano le avven­ture sono per­son­ag­gi tele­vi­sivi. Il rosa vira al nero con l’am­pio spazio ded­i­ca­to alla crim­i­nal­ità, agli altri fat­ti di cronaca nera e alla cronaca giudiziaria. Il ritorno ai toni leg­geri è assi­cu­ra­to dalle notizie di cos­tume».

Nel frat­tem­po, però, il virus di Stu­dio Aper­to ha con­ta­gia­to in misura sem­pre mag­giore anche gli altri tele­gior­nali, se è vero, come sot­to­lin­ea anco­ra Mal­chio­di, che «il Tg5 vede l’af­fer­mar­si di un forte inter­esse cronachis­ti­co, nel­l’at­ten­zione ele­va­ta per la cronaca giudiziaria (che cos­ti­tu­isce il grosso del­la macro-area “Gius­tizia”), per la “Crim­i­nal­ità”, per la cronaca del mal­tem­po (che esaurisce l’area “Ambi­ente e natu­ra”), per la cronaca nera». Ed è impos­si­bile non cogliere, in un panora­ma infor­ma­ti­vo carat­ter­iz­za­to dal macro­scop­i­co e irrisolto con­flit­to di inter­es­si berlus­co­ni­ano, l’u­til­ità di un approc­cio di questo tipo per assec­on­dare, o quan­to meno non intral­cia­re, le azioni politi­co-impren­di­to­ri­ali del­l’azion­ista di rifer­i­men­to, occul­tan­do allo stes­so tem­po dietro a fat­ti di sangue, nani e bal­ler­ine le sue mag­a­gne giudiziarie.

Lo tsunami dell’infotainment, da Novi Ligure a Cogne

L’esca­la­tion del­lo spazio tele­vi­si­vo con­ces­so alle notizie di cronaca è sta­ta accom­pa­g­na­ta da una meta­mor­fosi pro­fon­da del reg­istro nar­ra­ti­vo uti­liz­za­to per rac­con­tar­le. I tele­gior­nali e, più in gen­erale, i pro­gram­mi ded­i­cati all’at­tual­ità han­no infat­ti com­in­ci­a­to a mutu­are spes­so e volen­tieri lo stile e il lin­guag­gio di due generi molto in voga come fic­tion e real­i­ty. Il risul­ta­to è quel­lo che l’in­glese sin­te­tiz­za, con la con­sue­ta effi­ca­cia, nel­l’e­spres­sione “info­tain­ment”, ovvero una fusione alla dot­tor Franke­in­stein tra infor­mazione e spet­ta­co­lo, che pun­ta al cuore del­lo spet­ta­tore piut­tosto che al suo cervel­lo.

In ques­ta cat­e­go­ria rien­tra­no a pieno tito­lo una serie di feuil­let­ton tele­vi­sivi — e, per osmosi, car­ta­cei — che han­no seg­na­to le cronache degli ulti­mi anni. Come quel­lo ded­i­ca­to al duplice omi­cidio di Novi Lig­ure, com­pi­u­to nel 2001 dal­la cop­pia di fidan­za­ti­ni Eri­ka e Omar, con iniziale coin­vol­gi­men­to di ipoteti­ci rap­ina­tori extra­co­mu­ni­tari (e affret­ta­ta ram­pogna tv anti-immi­grati del diret­tore del Tg5 Men­tana). O quel­lo costru­ito l’an­no dopo per cir­ca tre mesi attorno all’as­sas­sinio del­la 14enne bres­ciana Desirée Pio­vanel­li, «in una sor­ta di rac­con­to a pun­tate — sot­to­lin­ea la già cita­ta anal­isi del­l’Osser­va­to­rio di Pavia sui tg del 2002 — che, giorno dopo giorno, aggiunge o cor­regge det­tagli del­la dinam­i­ca del­la vio­len­za del bran­co». Fino ad arrivare ai tor­men­toni più recen­ti sul­la morte del pic­co­lo Tom­ma­so Onofri, ucciso poco dopo il rapi­men­to dal­la sua casa di Casal­baron­co­lo, nel­la cam­pagna di Par­ma, e sul­la strage di Erba del dicem­bre 2006, ogget­to di un’al­tra rac­capric­ciante novità introdot­ta dal­l’in­for­mazione-spet­ta­co­lo: una docu-fic­tion anda­ta in onda lo scor­so 18 giug­no nel cor­so di una pun­ta­ta di Matrix del soli­to Enri­co Men­tana. I sospet­ti iniziali, è bene ricor­dar­lo, anche in questo caso si era­no subito con­cen­trati sul pri­mo extra­co­mu­ni­tario a por­ta­ta di mano, il tunisi­no Abdel Fami Mar­zouk, mar­i­to, padre e gen­ero di tre delle quat­tro vit­time.

La pal­ma d’oro del­l’in­fo­tain­ment spet­ta però al delit­to di Cogne i cui reso­con­ti, dati del­l’Osser­va­to­rio di Pavia alla mano, nel 2002 han­no assom­ma­to nei tele­gior­nali del prime time 1.927 minu­ti, pari al 3 per cen­to del totale del­l’in­for­mazione. Anco­ra più sig­ni­fica­ti­vo è il dato che riguar­da il rac­con­to degli svol­gi­men­ti giudiziari del caso, che nel cor­so del­lo stes­so anno ha occu­pa­to ben il 30 per cen­to del totale del­la cronaca giudiziaria dei tg (e il 14 per cen­to del tem­po ded­i­ca­to alla cronaca nera).

Tut­to ciò ha spin­to gius­ta­mente l’Osser­va­to­rio a par­lare di «vero e pro­prio caso medi­ati­co»: «È sbalordi­ti­vo come un sin­go­lo fat­to di sangue, reso più attrat­ti­vo per l’ef­fer­atez­za del delit­to e per il suo pre­sun­to svol­gi­men­to nel con­testo famil­iare, pos­sa cos­ti­tuire un argo­men­to di così forte notizia­bil­ità da diventare ogget­to di rac­con­to qua­si quo­tid­i­ano per l’in­tero anno 2002, com­plice il caso umano di una madre, uni­ca inda­ga­ta che nega di esserne l’autrice, e il carat­tere mera­mente ipoteti­co delle ricostruzioni, che dila­tano all’in­fini­to le spec­u­lazioni sul­la vicen­da. Il delit­to del pic­co­lo Samuele diven­ta il pal­li­do ref­er­ente di un even­to medi­ati­co di por­ta­ta immen­sa, capace di gener­are una quan­tità di notizie cor­re­late e indotte che esu­lano dal­l’am­bito più stret­ta­mente giudiziario (le indagi­ni sul­l’omi­cidio) per coin­vol­gere, nel proces­so del­la spet­ta­co­lar­iz­zazione tele­vi­si­va, piani di rap­p­re­sen­tazione fit­tizi che svuotano di ver­ità il fat­to in sé e spostano altrove l’ac­cen­to del­la vicen­da, per esem­pio sul­l’ag­gres­si­vo atto di accusa alla Procu­ra di Aos­ta da parte del­la dife­sa di Anna­maria Fran­zoni che spos­ta dal Foro alla tele­vi­sione la sede del­l’ac­cer­ta­men­to del­la ver­ità giudiziaria, coin­vol­gen­do lo spet­ta­tore in una sor­ta di giuria popo­lare all’amer­i­cana».

Osser­va­ta dal pun­to di vista del­l’u­so dei media come stru­men­to attra­ver­so il quale ori­entare l’at­ten­zione del­l’opin­ione pub­bli­ca, l’ab­norme cop­er­tu­ra medi­at­i­ca ris­er­va­ta al feuil­leton di Cogne appare, però, assai meno sbalordi­ti­va. Il 2002, infat­ti, è anche l’an­no in cui il gov­er­no Berlus­coni ha vara­to leg­gi ad per­son­am (o ad per­sonas) come quel­la sul legit­ti­mo sospet­to, fun­zionale alla richi­es­ta di sposta­men­to del proces­so Sme-Arios­to — che vede­va impu­tati, tra gli altri, Cesare Previ­ti e lo stes­so Berlus­coni — dal tri­bunale di Milano a quel­li di Bres­cia o Peru­gia, e quel­la sul fal­so in bilan­cio, che ha trasfor­ma­to il reato in un sem­plice illecito san­abile con una con­travven­zione e, soprat­tut­to, ridot­to i tem­pi di pre­scrizione. Insom­ma, men­tre il pres­i­dente del Con­siglio e pro­pri­etario di Medi­aset era impeg­na­to a risol­vere i suoi prob­le­mi con la gius­tizia cam­bian­do le leg­gi a colpi di mag­gio­ran­za per adat­tar­le alle sue esi­gen­ze proces­su­ali, i tele­gior­nali ital­iani ded­i­ca­vano qua­si un ter­zo delle loro cronache giudiziarie ai pre­sun­ti ret­rosce­na del delit­to di Cogne. Un fat­to ovvio più che sbalordi­ti­vo.

L’in­for­mazione-spet­ta­co­lo, però, non può cam­pare per sem­pre sulle spalle di Anna­maria Fran­zoni. In questo sen­so la morte di Vanes­sa Rus­so si è riv­e­la­ta l’ul­ti­ma, provvi­den­ziale trage­dia sul­la quale alle­stire l’or­mai con­sue­to Cir­co Bar­num del­l’or­rore. Il luo­go in cui è avvenu­to l’omi­cidio, le sue modal­ità incon­suete e l’i­den­tità del­l’as­sas­si­na, infat­ti, l’han­no subito trasfor­ma­ta nel­la sto­ria per­fet­ta con cui tv e gior­nali han­no potu­to coc­co­lare per diverse set­ti­mane il pro­prio pub­bli­co, assec­on­dan­done umori, pregiudizi e aspet­ta­tive. Il tut­to sot­to l’oc­chio accondis­cen­dente di una classe polit­i­ca che, quan­do non rica­va un inter­esse diret­to dal fomentare l’o­dio xeno­fobo, è trop­po tim­o­rosa di perdere con­sen­si per esporsi con prese di posizione che van­no con­tro il pre­sun­to “sen­tire comune”.

Con­sid­er­ate l’età e le cir­costanze del­la sua morte, l’omi­cidio “acci­den­tale” di Karoli­na avrebbe forse mer­i­ta­to da parte di gior­nali e tv un’at­ten­zione sim­i­le a quel­la trib­u­ta­ta all’omi­cidio avvenu­to nel­la met­ro­pol­i­tana di Roma. La penserebbe così, prob­a­bil­mente, anche la mag­gio­ran­za invis­i­bile che sec­on­do la Swg non ha pau­ra degli immi­grati, se solo qual­cuno si fos­se deg­na­to di infor­mar­la adeguata­mente del­l’ac­cadu­to.

Vignetta di Mauro Biani

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Commento

  1. sono con­tento che l’ab­bia ricordato…la dice lun­ga sul­l’at­teggia­men­to dei media.…