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A poche ore dal­l’ar­ri­vo di George W. Bush a Roma, la doman­da sorge spon­tanea: ne val­e­va la pena? Di fronte allo psi­co­dram­ma di questi ulti­mi giorni — tra cupe rie­vo­cazioni del G8 di Gen­o­va e con­sueti rim­pal­li di accuse tra i politi­ci dei diver­si schiera­men­ti — sem­br­erebbe pro­prio di no. A impres­sion­are è soprat­tut­to l’im­po­nente macchi­na orga­niz­za­ti­va, che coin­vol­gerà migli­a­ia di per­sone e per un paio di giorni minac­cia di con­dizionare la vita di molte altre migli­a­ia di cit­ta­di­ni.

Solo all’aere­o­por­to di Fiu­mi­ci­no — rac­con­tano con pig­no­le­ria cer­tosi­na i bol­let­ti­ni di queste ore — saran­no impeg­nate più di 1.500 per­sone — tra polizia, cara­binieri, guardia di finan­za e addet­ti vari alla sicurez­za — per vig­i­lare sul­l’ar­ri­vo di Bush jr. e sig­no­ra. Dai tet­ti di alcune infra­strut­ture del­lo sca­lo squadre di tira­tori scelti, dotati di armi con pun­ta­tori laser, sorveg­lier­an­no dal­l’al­to tut­ti i loro movi­men­ti. Già da un paio di ore pri­ma del­l’at­ter­rag­gio del­l’Air Force One lo spazio aereo sarà inter­det­to ai voli com­mer­ciali (e mez­z’o­ra pri­ma scat­terà il divi­eto totale per tut­ti quel­li di lin­ea) e agli aerei più pic­coli che volano a vista, con­siderati più a ris­chio per un poten­ziale attac­co dal cielo. A scon­giu­rar­lo, nel caso, saran­no i cac­cia F‑16 del 15esimo Stor­mo del­l’Aero­nau­ti­ca mil­itare, oper­a­tivi nel vici­no sca­lo mil­itare di Prat­i­ca di Mare, che scorter­an­no l’Air Force One e Two (il sec­on­do è di scor­ta, per­ché non si sa mai) appe­na entrati nel­lo spazio aereo ital­iano e fino alla loro suc­ces­si­va usci­ta. A sup­por­to, inoltre, è pre­vis­to il ricor­so a eli­cot­teri Agus­ta HH-3F armati.

A questi sce­nari da Apoc­a­lypse Now se ne som­mano altri meno cin­e­matografi­ci, ma ugual­mente sig­ni­fica­tivi. Come quel­lo dei 50mila romani che tra oggi pomerig­gio e domeni­ca mat­ti­na saran­no costret­ti a ten­er­si la spaz­zatu­ra in casa, anche se puz­za. L’ar­ri­vo di Bush in cit­tà, infat­ti, impli­ca la rimozione di oltre 300 cas­sonet­ti e ces­toni per i rifiu­ti che si trovano in cir­ca 250 strade e piazze del­la cap­i­tale, oltre allo sgombero totale di auto e moto nelle zone toc­cate dal pel­le­gri­nag­gio del pres­i­dente Usa. Per tut­to il peri­o­do e per tut­ti, mezzi pub­bli­ci com­pre­si, sarà inoltre off lim­its via Vene­to, sede del­l’am­bas­ci­a­ta amer­i­cana. E la stes­sa sorte toc­cherà alla gal­le­ria Alber­to Sor­di, costret­ta a chi­ud­ere i bat­ten­ti per la visi­ta di Bush a Pro­di nel vici­no palaz­zo Chi­gi. Gli uni­ci con­tenti saran­no dunque gli stu­den­ti delle scuole romane, che saba­to rester­an­no a casa in tut­ta la cit­tà.

Di fronte a ques­ta sven­tagli­a­ta di numeri, appare sen­sato il paragone del pres­i­dente Usa con gli antichi imper­a­tori romani, i cui sposta­men­ti — han­no spie­ga­to nei giorni scor­si i soli­ti cro­nisti cer­tosi­ni — com­por­ta­vano tri­bo­lazioni analoghe e una macchi­na orga­niz­za­ti­va altret­tan­to com­p­lessa. Meno impel­lente duemi­la anni dopo, nel­l’e­poca di Inter­net e delle tele­co­mu­ni­cazioni satel­li­tari, appare sem­mai la neces­sità di incon­trar­si di per­sona. Se Romano Pro­di avesse ten­ta­to di con­vin­cere Bush ad asseg­nare all’i­tal­iana Ale­nia Aero­nau­ti­ca (grup­po Fin­mec­ca­ni­ca) la mega­commes­sa da sei mil­iar­di di dol­lari delle forze armate amer­i­cane per 145 veliv­oli da trasporto C‑27J Spar­tan in video­con­feren­za — o mag­a­ri su Sec­ond Life, che ulti­ma­mente va di moda anche tra i nos­tri politi­ci — sarebbe cam­bi­a­to qual­cosa? Sì, i cas­sonet­ti del pat­tume sareb­bero rimasti al loro pos­to.

La polit­i­ca, però, vive anche di riti, pac­che sulle spalle e strette di mano a ben­efi­cio di fotografi e tele­camere. Anzi, la polit­i­ca attuale, fon­da­ta sul­l’im­mag­ine, vive soprat­tut­to di riti, tra i quali rien­tra quel­lo del­l’ar­ri­vo in pom­pa magna del Sovra­no — con first lady e stuo­lo di pre­to­ri­ani al segui­to — sul suo­lo del­lo sta­to vas­sal­lo, con le bandier­ine che sven­tolano sul cofano del­la macchi­na pres­i­den­ziale, blin­da­ta con finestri­ni (mai diminu­ti­vo fu meno appro­pri­a­to) spes­si otto cen­timetri. “No rito, no par­ty”, com­menterebbe il George Clooney del­la nota pub­blic­ità. Quin­di via i cas­sonet­ti e niente video­con­feren­za.

Mega­commes­sa mil­itare a parte, è comunque assai improb­a­bile che dai vari incon­tri in pro­gram­ma a Roma emerg­erà qual­cosa di più di qualche vig­orosa stret­ta di mano. Il menù prevede, con Pro­di, le solite frasi di cir­costan­za sul­la stor­i­ca ami­cizia tra Italia e Sta­ti Uni­ti, con­dite da sor­risi otti­mi e abbon­dan­ti, una dichiarazione con­giun­ta sul­l’im­peg­no comune nel­la lot­ta con­tro il ter­ror­is­mo inter­nazionale, a dis­pet­to delle diver­gen­ze più o meno mar­cate sulle strate­gie da adottare in Iraq e in Afghanistan, e qualche vaga promes­sa sug­li spic­ci­oli da dare in ele­mosi­na ai Pae­si africani, gius­to per scon­giu­rare il ris­chio di ritrovar­si subito tra i pie­di Bono, spal­leg­gia­to da Jovan­ot­ti che can­ta gimme five alright.

Gio­va anche ricor­dare che il Bush che fa tap­pa a Roma non è lo stes­so che sbar­cò in Italia sei anni fa, anco­ra fres­co di “elezione” alla Casa Bian­ca a spese di Al Gore, per parte­ci­pare al famiger­a­to G8 di Gen­o­va. Il Bush odier­no, infat­ti, è un pres­i­dente dimez­za­to dal­la scon­fit­ta dei repub­bli­cani nelle elezioni di medio ter­mine di novem­bre, che sem­bra vol­er sfruttare la sua ulti­ma fet­ta di manda­to per ammor­bidire un po’ il giudizio del­la sto­ria sul suo con­to. Si spie­gano così, dopo anni di fiero mene­freghis­mo ambi­en­tale, le recen­ti, timide aper­ture sulle gran­di ques­tioni legate al cam­bi­a­men­to cli­mati­co, o l’in­sis­ten­za nel vol­er vis­itare la sede trastev­e­ri­na del­la Comu­nità di San­t’Egidio, a dis­pet­to dei ripetu­ti ten­ta­tivi di dis­sua­sione delle autorità ital­iane, pre­oc­cu­pate di non poter­gli garan­tire un liv­el­lo di sicurez­za adegua­to.

Quel­lo che non si spie­ga, vicev­er­sa, è l’in­ten­so deside­rio di incon­trare Bush man­i­fes­ta­to a più riprese da Pro­di nel cor­so del pri­mo anno del suo gov­er­no. Ques­ta evi­dente ricer­ca di legit­ti­mazione, infat­ti, stona per almeno due motivi. Innanz­i­tut­to per­ché riv­ol­ta a un pres­i­dente che, come det­to, è ormai avvi­a­to sul viale del tra­mon­to, ma soprat­tut­to per­ché il cen­trosin­is­tra la sua legit­ti­mazione a gov­ernare l’ha già ottenu­ta alle politiche di un anno fa, e anche gra­zie al voto di mil­ioni di elet­tori che non con­di­vi­dono nem­meno una vir­go­la del­l’­op­er­a­to di George W. In questo sen­so la visi­ta di Bush, ripor­tan­do a gal­la le divi­sioni già emerse nel cen­trosin­is­tra rispet­to alla mis­sione in Afghanistan e al piano di ampli­a­men­to del­la base Usa di Vicen­za, si è riv­e­la­ta un boomerang per il gov­er­no. Un boomerang tra l’al­tro preved­i­bilis­si­mo, che rende anco­ra più incom­pren­si­bile l’in­ten­so deside­rio di Pro­di.

Nel­la stes­sa cat­e­go­ria del­l’in­com­pren­si­bile ricade, gio­co­forza, anche l’at­teggia­men­to del­la Comu­nità di San­t’Egidio, che forse ha con­fu­so Bush con il figli­ol prodi­go del­la parabo­la di Gesù, che dopo aver dilap­ida­to il pat­ri­mo­nio pater­no con donne di malaf­fare tor­na a casa con la coda tra le gambe. In questo caso il vitel­lo gras­so cuci­na­to per fes­teggia­re il ritorno all’ovile del­la pecorel­la smar­ri­ta pren­derà la for­ma di una tavola roton­da sui fla­gel­li del con­ti­nente africano, alla quale pren­derà parte anche il pres­i­dente amer­i­cano. «Spe­ri­amo — ha det­to il por­tav­oce del­la Comu­nità, Mario Marazz­i­ti — che saba­to pos­sa inau­gu­rar­si una stra­da di mag­giore effi­ca­cia per com­bat­tere la povertà e per scon­fig­gere in maniera seria il nucleo cen­trale del­la pan­demia di Aids in Africa, cre­an­do sin­ergie a par­tire da espe­rien­ze inno­v­a­tive che abbi­amo sul cam­po, come ad esem­pio “Dream”, il nos­tro prog­et­to avvi­a­to cinque anni fa».

La sper­an­za è l’ul­ti­ma a morire, ma mai come in questo caso è sta­ta mal ripos­ta. Come si legge in un arti­co­lo di Jim Lobe pub­bli­ca­to in occa­sione del­la 15esima Con­feren­za Inter­nazionale sul­l’Aids di Bangkok di tre anni fa, l’am­min­is­trazione Bush ha sem­pre dife­so stren­u­a­mente gli inter­es­si del­la potente indus­tria far­ma­ceu­ti­ca a stelle e strisce, negan­do per esem­pio il per­me­s­so di uti­liz­zare gli aiu­ti in denaro for­ni­ti dagli Usa per l’ac­quis­to di far­ma­ci anti-retro­vi­rali sal­va vita (Arv) prodot­ti nei pae­si in via di svilup­po, che sono molto più eco­nomi­ci di quel­li prodot­ti dai “gigan­ti del far­ma­co” occi­den­tali.

Alla Comu­nità di San­t’Egidio, del resto, han­no ben pre­sente il bril­lante cur­ricu­lum di con­ser­va­tore com­pas­sionev­ole del pres­i­dente degli Sta­ti Uni­ti nei suoi sei anni da gov­er­na­tore del Texas. Nel 2000, infat­ti, quan­do Bush era già in cor­sa per la Casa Bian­ca, la Comu­nità di Traste­vere si mobil­itò per sal­vare la vita a John­ny Paul Pen­ry, un uomo che sof­fri­va di un grave ritar­do men­tale con­dan­na­to a morte pro­prio in Texas per un omi­cidio commes­so nel 1979. Pen­ry fu sal­va­to in extrem­is solo gra­zie a un inter­ven­to del­la Corte Supre­ma. Non dal com­pas­sionev­ole Bush, che quel­lo stes­so anno riuscì a sta­bilire comunque il record di sen­ten­ze cap­i­tali ese­gui­te nel­lo sta­to, toc­can­do quo­ta 40. Evi­den­te­mente anche lui ave­va bisog­no di qualche deci­na di mor­ti per pot­er­si inse­di­are nel­lo Stu­dio Ovale.

Se tut­to ciò non bas­tasse ad accred­itare l’in­com­pren­si­bil­ità del­l’in­sieme, è quan­tomeno curioso che a ospitare George W. sia quel­la che viene defini­ta “l’Onu di Traste­vere”. È noto­ria, infat­ti, l’al­ler­gia delle ammin­is­trazioni Usa — tutte, non solo quel­la attuale — per le Nazioni Unite, con­sid­er­ate nel migliore dei casi un como­do capro espi­a­to­rio su cui scari­care le even­tu­ali respon­s­abil­ità del­la cat­ti­va ges­tione delle varie crisi inter­nazion­ali e, nel peg­giore, un osta­co­lo al persegui­men­to di quel­li che ven­gono spac­ciati come gli “inter­es­si nazion­ali amer­i­cani”. Inter­es­si che, in realtà, spes­so si riducono a quel­li del­l’oli­garchia che ogni quat­tro anni si con­tende il pos­to di “uomo più potente del mon­do” a suon di dol­lari (si prevede che i costi del­la cam­pagna pres­i­den­ziale del 2008 per la pri­ma vol­ta toc­cher­an­no quo­ta un mil­iar­do), fino a tra­man­dar­lo da padre in figlio, come nel caso di Bush jr.

Anche ipo­tiz­zan­do un’im­prob­a­bile illu­mi­nazione di Bush sul­la via di Traste­vere, sarebbe però ingius­to dimen­ti­care che, non fos­se per l’ap­pun­to l’uo­mo più potente del mon­do, oggi molto prob­a­bil­mente fig­ur­erebbe nel­la lista dei ricer­cati del­la Corte Penale Inter­nazionale del­l’A­ja, isti­tui­ta con lo scopo di assi­cu­rare che cri­m­i­ni con­tro l’u­man­ità, geno­ci­di e cri­m­i­ni di guer­ra non rimangano impuni­ti. Non a caso gli Sta­ti Uni­ti, insieme a Rus­sia e Cina, non vi han­no ader­i­to, rifi­u­tan­do di riconoscerne la giuris­dizione.

Sul­l’am­min­is­trazione Bush pesa infat­ti la repon­s­abil­ità incan­cella­bile di aver scate­na­to una guer­ra assur­da, inutile e sbagli­a­ta come quel­la in Iraq, che ha provo­ca­to centi­na­ia di migli­a­ia di vit­time mil­i­tari e, soprat­tut­to, civili. Con l’ag­gra­vante di aver­lo fat­to adducen­do prove false accom­pa­g­nate da moti­vazioni pretes­tu­ose e vari­abili come le pre­vi­sioni del tem­po, dalle introv­abili armi di dis­truzione di mas­sa di Sad­dam Hus­sein alla lot­ta al ter­ror­is­mo inter­nazionale, pas­san­do per la favola del­l’e­s­portazione del­la democrazia, rac­con­ta­ta nel­lo stes­so momen­to in cui l’in­tro­duzione del Patri­ot Act lim­i­ta­va i dirit­ti civili all’in­ter­no degli Sta­ti Uni­ti.

Per cer­ti ver­si anche le guerre in Iraq e in Afghanistan potreb­bero rien­trare nel paragone con l’im­pero romano. In bal­lo, allo­ra come oggi, c’er­a­no infat­ti i soli­ti inter­es­si nazion­ali e la volon­tà di assi­cu­rar­si l’ege­mo­nia su alcune aree con­sid­er­ate strate­giche. Gli imper­a­tori romani, però, spes­so le guerre le com­bat­te­vano di per­sona, sul cam­po di battaglia. Il Bush-imper­a­tore di oggi, al con­trario, è lo stes­so che all’inizio degli anni Set­tan­ta, all’e­poca del suo servizio di leva, riuscì a evitare di essere sped­i­to a com­bat­tere — ed even­tual­mente morire — in Viet­nam. In com­pen­so da quan­do è sta­to elet­to “coman­dante in capo” non ha per­so occa­sione per far­si fotogra­fare in divisa mil­itare, tenen­dosi però alla larga il più pos­si­bile dal­l’I­raq “paci­fi­ca­to”. È la polit­i­ca del­l’im­mag­ine, bellez­za.

Aggior­na­men­to. La visi­ta di Bush a Traste­vere è sta­ta annul­la­ta all’ul­ti­mo momen­to. Per motivi di sicurez­za e non, purtrop­po, per un ripen­sa­men­to del­la Comu­nità di San­t’Egidio. Il por­tav­oce Mario Marazz­i­ti si è anzi qua­si ral­le­gra­to del cam­bio di pro­gram­ma, che «con­sen­tirà più tem­po per appro­fondire gli argo­men­ti». Il tem­po pre­vis­to orig­i­nar­i­a­mente per la visi­ta alla Basil­i­ca di San­ta Maria in Traste­vere e suc­ces­si­va­mente alla Comu­nità di San­t’Egidio, infat­ti, sarà des­ti­na­to solo all’in­con­tro con i rap­p­re­sen­tan­ti del­la Comu­nità, che avver­rà nel­l’am­bas­ci­a­ta degli Sta­ti Uni­ti di via Vene­to.

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