Che barba e che noia tutte queste chiacchiere sul calcio dopo la morte a Catania dell’ispettore di polizia Filippo Raciti. Come ricorda Edmondo Berselli sulle pagine di oggi di Repubblica, sono ormai più di trent’anni che dopo ogni tragedia figlia di questo sport — che non è più sport da un pezzo — si sentono ripetere le stesse prediche e le stesse promesse. E ogni volta tutto è tornato a essere come prima, e anche peggio di prima, perché the show must go on. Lo spettacolo, per quanto indecente possa essere, deve continuare a ogni costo.
Per questo fa quasi tenerezza leggere che il ministro dell’Interno Amato, membro di un governo che potrebbe avere i giorni contati, ha promesso tolleranza zero ai criminali da stadio. Può darsi che ci creda davvero, ma basta fare qualche rapida ricerca su Google per rendersi conto che lo stesso identico proclama è già stato pronunciato un’infinità di volte negli anni scorsi. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Del resto sarebbe stato sorprendente se fosse avvenuto il contrario. Non va dimenticato, infatti, che l’Italia è un Paese in cui una delle prime domande che i giornalisti di solito rivolgono alle vittime è se perdonino o meno i loro carnefici. E questa ossessione da perdono prescinde dal fatto che sia stata fatta giustizia, anche perché i reati spesso e volentieri cadono in prescrizione. L’Italia, come ci insegnano le cronache di queste ultime settimane, è un Paese in cui la patente può essere ritirata e restituita per sette volte anche a un camionista con il vizio di guidare ubriaco, e anche se nel giro di un decennio a causa di quel vizio ha ammazzato più di dieci persone.
Peggio ancora, l’Italia è un Paese in cui l’indignazione è come il latte fresco. Nel giro di qualche giorno scade. Ne sono la prova Tangentopoli, Calciopoli, Vallettopoli, lo scandalo della Parmalat e dei furbetti del quartierino. Dopo lo sdegno e la condanna, una bella riabilitazione non si nega a nessuno, come dimostra il Moggi pimpante che, solo qualche mese dopo aver annunciato — in lacrime — il suo addio al calcio, ci perseguita come opinionista dagli schermi televisivi e perfino nelle università, che fanno a gara per accaparrarselo.
Perché non ci sono intercettazioni compromettenti o prove inequivocabili che tengano. In Italia i potenti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio. E talvolta anche oltre, come nel caso dell’assai poco onorevole-avvocato Cesare Previti, che continua a essere deputato della Repubblica e a intascare lo stipendio da parlamentare (mica bruscolini) a dispetto di una sentenza passata in giudicato che lo ha condannato a sei anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Per questo stupisce l’ingenuità dei continui riferimenti di questi giorni all’esempio dell’Inghilterra, che attraverso una serie di provvedimenti draconiani è riuscita a bonificare il calcio dai temibili hooligans dell’Heysel. Nell’Italia clientelare del panem et circenses, al massimo si può sperare negli appetiti di una classe politico-imprenditoriale che dopo l’abbuffata dei Mondiali di Italia 90 non vuole rischiare di perdere la ghiotta occasione degli Europei 2012, con il suo inevitabile carico di appalti miliardari (e relative tangenti), a causa di qualche teppista con uno scarso senso degli affari.
C’è voluta, purtroppo, la morte di un uomo in divisa per arrivare alla decisione di sospendere a tempo indeterminato tutti i campionati. Si tratta, però, di una decisione tardiva, perché il calcio italiano, dai suoi dirigenti ai suoi appassionati, ha già dato ampia prova di essere irrecuperabile. E di una decisione inutile, perché è assai probabile che una volta elaborato il lutto tutto riprenderà come prima, almeno fino al prossimo morto. Per questo l’avvertimento del ministro Amato — «si rischia di non vedere più il pallone» — più che una minaccia andrebbe considerato un auspicio.
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l’Italia è un Paese in cui una delle prime domande che i giornalisti di solito rivolgono alle vittime è se perdonino o meno i loro carnefici. E questa ossessione da perdono prescinde dal fatto che sia stata fatta giustizia, anche perché i reati spesso e volentieri cadono in prescrizione. L’Italia, come ci insegnano le cronache di queste ultime settimane, è un Paese in cui la patente può essere ritirata e restituita per sette volte anche a un camionista con il vizio di guidare ubriaco, e anche se nel giro di un decennio a causa di quel vizio ha ammazzato più di dieci persone.
STRAQUOTO
io propongo calcio solo per le nazionali dove le regole, gli arbitri le punizioni in caso di infrazioni non sono direttamente sotto il controllo ne della FIGC ne del CONI tanto meno del parlamento corrotto dai mafiosi collusi .largo spazio,finalmente a tutti gli altri sport che se solo avessero la visibilita’ che ha il calcio e i finanziamenti,sono abbastanza sicuro che poca gente nel giro di una decina d’anni ne sentirebbe la mancanza.si avrebbero nuovi eroi,gente che deve veramente mettere il cuore in campo ogni partita.non come sti fighetti calciatori buffoni sempre ll’ a simulare falli e lamentarsi al minimo colpetto ricevuto.ma dove sono finiti gli uomini maschi alla Benetti ‚Frustalupi ecc ecc.vi immaginate rugby, hockey, basket pallavolo tutti sport sostanziamente piu’ eccitanti del calcio.credetemi questo succederebbe senza bisogno di cambiare la gente ne la cultura popolana.
squadre a budget limitato come qui in America.dove qualunque squadra si puo’ permettere il campione di stagione.sapete che varieta’ nell’albo d’oro.ogni anno un campione d’italia diverso,non sempre i soliti tre club mafiosi.questo non e’ uno scenario da fantascienza,e’ possibile e non toglie niente allo spettacolo alleconomia agli sponsor anzi aggiunge.
Siamo un paese del tutto o niente, per tanto tempo il governo non ha fatto nulla poi alla fine ha voluto punire il calcio senza pensare che il problema non è lo stadio pericoloso ma la mancanza di un sistema giudiziario capace di condannare questi crimini.