Su Scene Digitali Vittorio Zambardino segnala la novità del breve discorso con cui Hillary Clinton ha presentato la sua candidatura alle primarie democratiche, prima tappa della corsa verso la presidenza degli Stati Uniti. In un video di un minuto e 45 secondi, spiega Zambardino, l’ex first lady annuncia l’intenzione di avviare una conversazione con l’America, utilizzando Internet «come mezzo per instaurare e far crescere un rapporto sociale e politico, per permettere una interazione finora ingessata dentro forme rituali». Così, a partire da oggi, la senatrice e il suo staff dialogheranno con gli elettori attraverso una serie di chat e video chat.
La notizia andrebbe fatta circolare, a scopo educativo, tra i tanti politici italiani che, a elezioni avvenute, hanno chiuso in fretta e furia i loro siti con laconici messaggi che rimandano a futuri, improbabilissimi aggiornamenti. È altrettanto improbabile, tuttavia, che Hillary Clinton, a vittoria eventualmente incassata, continui a chattare con i suoi elettori.
L’iniziativa, inoltre, non rappresenta una novità assoluta, visto che quattro anni fa, nel corso delle primarie del Partito Democratico, Howard Dean aveva già fatto un uso abbondante ed efficace dei vari strumenti di comunicazione messi a disposizione dal web, tanto che in molti inizialmente avevano pronosticato che potesse essere lui a contendere la presidenza a George W. Bush.
Il succo della questione, però, è che quella di Hillary Clinton è soltanto fiction, come la definisce lo stesso Zambardino, perché il programma nelle sue grandi linee è fatto. «Se è fiction che permette un esperimento democratico cui, facile previsione, parteciperanno milioni di persone — aggiunge però il giornalista — sarà stata la fiction più innovativa delle forme della politica e quindi più democratica che si conosca a memoria di media. Di certo più di Emilio Fede e di Santoro, più dei sondaggi istantanei e anche più di certi blog».
Nella sostanza, comunque, quella di Hillary Clinton è soprattutto una bella operazione di marketing politico per accreditare l’immagine di una candidata al passo coi tempi che si rende disponibile al confronto con i comuni mortali e all’ascolto delle loro istanze. E trattandosi di fiction, restano molti dubbi sul fatto che possa funzionare come “esperimento democratico”, a meno che non si riduca il significato della democrazia alla possibilità di fare due chiacchiere in chat con il candidato di turno (o con uno dei suoi scagnozzi, per i meno fortunati). Per quanto elettrizzante possa essere l’esperienza, pare quindi eccessivo considerarla un’espressione della tanto strombazzata — e assai meno praticata — democrazia dal basso.
A proposito di Stati Uniti, poi, è bene ricordare che per spuntarla alle elezioni presidenziali risulta essere sempre più determinante la quantità di denaro che ciascun candidato riesce a racimolare per alimentare le sue attività di propaganda. Il Washington Times il 20 dicembre scorso ha citato in un articolo il presidente della Federal Election Commission, Michael E. Toner, secondo il quale i costi della campagna elettorale nel 2008 toccheranno per la prima volta la quota di un miliardo di dollari.
Per sperare di vincere, quindi, ogni candidato in lizza per la Casa Bianca dovrà riuscire a mettere insieme almeno 500 milioni di dollari. Ciò significa, con buona pace di chi crede nelle infinite potenzialità del web come strumento di democrazia, che per incidere davvero sul programma elettorale di Hillary Clinton (o di uno degli altri candidati con più chance di vittoria) mettere mano al portafoglio resta un’azione più efficace del mettere mano alla tastiera di un computer.
Un autentico esperimento di democrazia sarebbe semmai quello che si ponesse come obiettivo una limitazione dell’influenza del denaro sul processo elettorale e la riduzione dell’alto tasso di astensionismo. Milioni di cittadini statunitensi, infatti, disertano regolarmente le urne perché considerano il voto un esercizio inutile, nutrendo una sfiducia totale e bipartisan nei confronti della politica di democratici e repubblicani.
Ben venga, dunque, l’elezione di una donna alla presidenza Usa, ma dal punto di vista di chi non si sente più rappresentato dalla classe politica la vera novità sarebbe quella di un presidente — uomo o donna che sia — che non proviene da una famiglia facoltosa e non ha rapporti di parentela con nessuno dei suoi predecessori.
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