A un paio di mesi dalla pseudo-fatwa lanciata contro di lei dall’imam della moschea di Segrate Ali Abu Shwaima, Daniela Santanchè nei giorni scorsi è tornata alla ribalta della cronaca. Per un messaggio minatorio che ha ricevuto in una busta partita da Londra e per l’intenzione, annunciata il 10 gennaio ai microfoni di Rtl 102.5, di voler presentare una legge per vietare l’uso del velo islamico alle minorenni.
«Ho abbandonato da tempo il buonismo — ha detto alla radio la parlamentare di Alleanza Nazionale — Sono una donna di destra e passo dalla parola ai fatti: presenterò una proposta di legge perché venga vietato in Italia l’uso di qualsiasi tipo di velo fino a 18 anni. Ritengo che il velo non sia un simbolo di libertà, ma di sottomissione. Voglio avere la certezza che non ci siano donne, almeno nel nostro Paese, obbligate a metterlo».
Nel corso della stessa intervista, la Santanchè ha aggiunto che «le bambine a 10–12 anni non sono in grado di decidere di fare una scelta di questo genere. È bene che in Italia, all’interno della scuola pubblica italiana, i bambini siano tutti uguali. A 18 anni, quando si ha la struttura psicologica mentale per poter fare una scelta, decideranno se si vogliono velare o no».
Non è del tutto chiaro se, come sembra più probabile, la parlamentare auspichi un divieto assoluto del velo per le minorenni o piuttosto un bando limitato alle aule scolastiche — due ipotesi, è evidente, molto diverse tra loro — e alcuni dei commenti fioccati in rete sull’argomento sono viziati da questa ambiguità. Quello che è chiaro, viceversa, è che alla Santanchè, ormai definitivamente calata nei panni di crociata dell’Occidente cristiano, sfuggono alcune implicazioni tanto banali quanto significative delle sue ultime dichiarazioni.
Prendendo per buono il suo ragionamento, infatti, uno Stato laico e aconfessionale quale è, almeno sul piano formale, l’Italia dovrebbe anche vietare, per esempio, il battesimo dei minorenni figli di genitori cattolici e impedire loro di indossare il crocifisso prima della maggiore età. A meno di non pensare che «la struttura psicologica mentale» dei giovani musulmani sia inferiore a quella dei loro coetanei che professano un altro credo.
A voler essere pignoli, poi, l’auspicio della Santanchè che i bambini che frequentano la scuola pubblica italiana siano tutti uguali mal si concilia con la presenza di un simbolo religioso come il crocifisso nelle aule e con la stucchevole polemica in difesa del presepe alimentata prima dell’ultimo Natale da numerosi esponenti del centrodestra.
La parlamentare di An potrebbe obiettare che il velo, a differenza del crocifisso o del presepe, è un simbolo di sottomissione delle donne. Ma questa è solo un’opinione — la sua — che cozza con le dichiarazioni di molte donne musulmane, orgogliose di portare il velo e per nulla disposte a rinunciarvi. Un’opinione smentita, tra l’altro, anche dalle statistiche, che dimostrano che la violenza di genere è, purtroppo, un fenomeno trasversale a ogni ceto e cultura che non risparmia le donne italiane, vittime di omicidi, botte e stupri che spesso si consumano all’interno della famiglia.
Fermo restando, comunque, il diritto di Daniela Santanchè di manifestare le proprie idee senza essere minacciata di morte da qualche fondamentalista invasato (e magari evitando di lamentarsi di combattere la sua battaglia circondata da «un assordante silenzio», visto l’ampio spazio che i media le concedono spesso e volentieri), da parte di una parlamentare nel trattare questa delicata materia è doveroso pretendere maggiore cautela e, soprattutto, un approccio più documentato.
Da parte di molti esponenti del centrosinistra (e non solo) è invece auspicabile un po’ più di coraggio nell’affrontare la questione, anche a costo di risultare impopolari, per non lasciare le redini della riflessione su immigrazione, multiculturalismo e minoranze etnico-religiose nelle mani di personaggi alla costante ricerca di visibilità, come il loquace leghista Roberto Calderoli e la stessa Santanchè.
Articolo pubblicato anche su Medium
giusto! quindi proponesse pure che i bambini non si battezzassero a pochi mesi di età, ma solo a maggior età compiuta, in modo che abbiano anche loro la possibilità di poter decidere a che religione appartenere.
Sono convinto che gli usi e costumi, se non imposti, vanno rispettati, ma vanno rispettate anche le leggi del paese che ospitante, nel nostro caso è vietato solo mascherarsi. Il velo dunque è lecito.
Questo pezzo — me ne sono accorto ieri in tarda serata — è stato ripubblicato sul portale Libero Blog, dove ha provocato una valanga di commenti, molti dei quali sono in realtà sfoghi e insulti incrociati senza molto costrutto (e anonimi, of course), per i quali non vale davvero la pena di perdere tempo. Non manca, comunque, qualche spunto interessante su cui mi riprometto di tornare appena possibile con un intervento ad hoc.
Certo che la Santanchè potrebbe fare politica in modo autonomo visto che non rispetta il pensiero del segretario del partito. Fini dice una cosa e la donna guerriera di AN ne dice un’altra, forse sarebbe il caso che si mettessero d’accordo.
Mi sembra piuttosto incongruo paragonare il velo al battesimo, quest’ultimo è un atto simbolico che non incide sul corpo, il primo è una costrizione fisica.
Per quanto riguarda il crocifisso appeso al collo non mi risulta che vi sia qualche norma religiosa o sociale che imponga di portarlo, per cui anche questo paragone lascia il tempo che trova…
Simone hai argomentato in modo molto convincente…complimenti!