Il XIII seminario di formazione per giornalisti Redattore Sociale, ospitato dall’1 al 3 dicembre presso la Comunità di Capodarco di Fermo, ha dedicato i tre workshop del sabato mattina ai conflitti sottotraccia, come quello tra “indigeni e forestieri”, ovvero tra gli italiani e i tre milioni di immigrati residenti nel nostro Paese.
Un confronto preda ancora di pregiudizi, sospetti, stereotipi, di cui hanno discusso Roberto Morrione, ex direttore di Rai News 24, Massimo Ghirelli, giornalista, autore di programmi radiofonici e televisivi (tra i quali Nonsolonero), e presidente dell’Archivio immigrazione di Roma, e Ahmad Ejaz, caporedattore di Azad, rivista della comunità pachistana in Italia, e membro della Consulta per l’Islam varata dall’ex ministro dell’Interno Pisanu.
Ne è emersa un’interessante discussione, con spunti mai banali e la volontà, anche attraverso le domande dei presenti, di non cadere nel tranello di una disamina a sua volta stereotipata. Ghirelli, in particolare, ha posto subito sul tavolo le esigenze principali del nostro Paese in materia di immigrazione, senza tralasciare il ruolo svolto dai mezzi di comunicazione.
«Innanzitutto — ha spiegato — il percorso per entrare in Italia deve essere chiaro, attraverso dei canali definiti. La vera sfida è quella di definire dei canali reali e percorribili, per fare in modo che le persone che vogliono entrare in Europa sappiano come fare». Il secondo aspetto riguarda le preoccupazioni degli italiani. In primis rispetto al lavoro. «Uno straniero che arriva in 3–6 mesi trova lavoro, spesso in nero — ha affermato Ghirelli — In più di un terzo dei casi, però, si tratta di occupazioni regolari. Il lavoro allora c’è. Perché non si accetta il fenomeno?».
«Il numero degli irregolari — ha aggiunto Ghirelli — non è così alto come si vuol far credere. Per molti anni è stato attorno al 20 per cento. E non c’è ragione al mondo per evitare che si regolarizzino». Per procedere occorre dunque partire dall’abolizione della legge Bossi-Fini. «Basta con le scene grottesche come quelle dell’ultima sanatoria — ha sottolineato il giornalista — Stranieri che facevano finta di tornare al Paese di origine e poi di rientrare su chiamata, oppure le file di clandestini “invisibili” davanti agli uffici postali per presentare la domanda. Si è fatto finta di non vedere: se c’era la volontà si poteva fare la più grossa retata di clandestini della storia».
Altra necessità evidenziata da Ghirelli, quella di una legge sull’asilo. «L’Italia ha la fortuna di avere una bella Costituzione, che prevede l’asilo. Poi c’è la Convenzione di Ginevra del 1951. Queste due norme basterebbero per formulare una legge complessiva sull’asilo. La nuova legge dovrà porre anche la questione della protezione temporanea per guerre, conflitti, calamità naturali… Ed è chiaro che se io concedo asilo, le persone che ne usufruiscono devono poter lavorare e ricongiungersi con la famiglia. Resta da chiedersi se questo governo avrà la forza di emanare e approvare una legge di questo tipo».
E i media come si pongono nei confronti del fenomeno migratorio? «C’è chi ha investito in questo campo della comunicazione — ha evidenziato Ghirelli — ma sempre con l’idea dell’immigrato come nuovo “consumatore”. Nonostante alcuni sforzi, resta inoltre da capire il ruolo dei mezzi di comunicazione. Nel 1954, quando arrivò la televisione, lo slogan era “una finestra sul mondo”. Ed è ancora vero. I mezzi di comunicazione hanno ancora la funzione di metterci in contatto in tempo reale con un numero incredibile di persone. È una potenzialità straordinaria, divenuta ancora più forte con le nuove tecnologie. Si potrebbe definirli uno “strumento di integrazione planetaria”».
Nella realtà, però, i mezzi di informazione «svolgono un ruolo di esclusione e quando parlano di immigrazione evidenziano sempre gli elementi di differenziazione e conflitto. Perché? Ci sono 100mila imprenditori stranieri, migliaia di studenti stranieri, eppure non se ne vede uno in televisione. L’immagine è ancora una volta riduttiva e stereotipata. L’immigrato, per esempio, per i media adesso è solo musulmano, anche se i musulmani in Italia rappresentano solo un terzo della popolazione straniera».
Insomma, sotto il tappeto si nasconde qualcosa di grave. Tanto che per Ghirelli «oggi non è più il tempo di sedersi. Bisogna approfondire, avere il coraggio di affrontare i problemi nella loro complessità. Ed il confronto vero è quello sulle differenze».
Interessante anche la testimonianza di Ahamad Ejaz. «Quando un immigrato arriva in un nuovo Paese porta solo il suo corpo con sé. La sua anima lo raggiunge soltanto quando sente di essere integrato. In Italia non so quando arriverà l’anima. Tanto per cominciare la Bossi-Fini è una legge contro l’immigrato. Ma se da Bossi ce lo aspettavamo, quello che non ci aspettavamo era da parte della sinistra una legge come la Turco-Napolitano».
«Questa legge, infatti, è uguale alla Bossi-Fini — ha spiegato- con l’unica differenza che l’altra era collegata al lavoro. Poi però è arrivata la legge Biagi, che parla di flessibilità. Dunque non esiste più un lavoro fisso tranne che per gli immigrati, che per avere un permesso di soggiorno devono dimostrare di avere un lavoro fisso. Una situazione paradossale… In realtà la vera integrazione si ha quando l’immigrato risolve i primi tre problemi: i documenti, il lavoro e la casa. E in Italia per superarli tutti e tre ci vogliono almeno dieci anni».
Il giornalista pachistano ha ribadito anche che la Bossi-Fini crea clandestini e ha sottolineato come né il ministro dell’Interno Amato né quello della Solidarietà sociale Ferrero abbiano ancora proposto una legge sull’asilo. Ma come è cambiata l’immigrazione nel nostro Paese? «L’Italia non è più solo un Paese di transito. La legge europea sulle impronte digitali, infatti, fa in modo che i molti stranieri giunti in Italia, prima considerata solo una terra di passaggio verso Germania, Francia o Inghilterra, vi rimangano. Ma l’Italia non è preparata ad accoglierli».
«Si dice — ha aggiunto — che il modello inglese di integrazione stia fallendo, che quello francese è fallito. L’Italia, però, quale modello ha? Spende molto per la sicurezza, poco per l’integrazione. E vive di stereotipi. Solo il 10 per cento degli immigrati arriva via nave, ma sulle coste ci sono sempre telecamere e giornalisti per immortalare le scene. Avete mai visto chi arriva dall’est? No, perché fa molta meno scena. Insomma, l’integrazione, per dirla con il titolo di questo seminario, è totalmente “sotto il tappeto”. Ma sappiate che quando l’immigrato è felice, anche la società è felice».
Ulteriori spunti sono giunti dalle domande dei partecipanti al workshop. Qualcuno ha chiesto una disamina biunivoca, non concentrata cioè sulle sole responsabilità dei Paesi occidentali nell’affrontare i fenomeni migratori. Anche i migranti, insomma, devono fare la propria parte: non ci si può irrigidire sulle proprie convinzioni (anche religiose), tradizioni (si pensi ai matrimoni combinati) e stili di vita e limitarsi a chiedere all’Italia uno sforzo in questa direzione. Per superare le diffidenze reciproche, hanno replicato a questo proposito Ghirelli e Morrione, servono tempo, pazienza e rispetto.
Sul fronte mediatico, poi, è necessario un salto di qualità non solo nei tipi di rappresentazione degli immigrati — spesso descritti soltanto come un problema e quasi mai raffigurati nella loro “normalità” — ma anche rispetto all’accesso dei giornalisti immigrati, cui oggi è preclusa perfino l’iscrizione all’Ordine professionale, alle redazioni di giornali e televisioni. Occorre cioè fare in modo che gli immigrati da oggetti passivi diventino anche soggetti attivi dell’informazione italiana.
Articolo pubblicato anche su Medium
Sul fronte mediatico, poi, ? necessario un salto di qualit? non solo nei tipi di rappresentazione degli immigrati …anche rispetto all?accesso dei giornalisti immigrati,
E CHE MI DICI DI MAGDI ALLAM!!