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Con le sue ripetute ester­nazioni tele­vi­sive sul velo islam­i­co che «non è mai sim­bo­lo di lib­ertà» — e gra­zie all’in­volon­taria e provvi­den­ziale com­plic­ità del­l’i­mam del­la moschea di Seg­rate, Ali Abu Shwaima — Daniela San­tanchè si è con­quis­ta­ta in un colpo solo la sol­i­da­ri­età dei politi­ci di tut­to l’ar­co cos­ti­tuzionale, un pos­to assi­cu­ra­to nei prossi­mi talk show ded­i­cati all’ar­go­men­to, una scor­ta arma­ta (un bis, dopo quel­la ottenu­ta in feb­braio in segui­to alla pub­bli­cazione del libro “La don­na nega­ta”) e il plau­so di molti cit­ta­di­ni-elet­tori, com­pre­si gli ultrà del­l’is­lam­o­fo­bia che han­no inonda­to la rete con com­men­ti in larga parte irriferi­bili.

Molte italiane vittime di violenze brutali all’interno della famiglia

Se l’o­bi­et­ti­vo del­la par­la­mentare di Allean­za Nazionale era davvero quel­lo di difend­ere le donne dai soprusi di una cul­tura giu­di­ca­ta trop­po maschilista, i suoi strali, però, han­no pre­so la direzione sbagli­a­ta. Per capir­lo bas­ta leg­gere l’ar­ti­co­lo di Gigi Riva pub­bli­ca­to sul numero del­l’E­spres­so in edi­co­la pro­prio nei giorni del fac­cia a fac­cia tele­vi­si­vo tra la San­tanchè e l’i­mam di Seg­rate. Anche Riva, infat­ti, par­la di donne sot­tomesse e mal­trat­tate, ma si trat­ta in prevalen­za di donne ital­iane vit­time di omi­ci­di, stupri e vio­len­ze bru­tali, che spes­so si con­sumano all’in­ter­no del­la famiglia.

L’au­tore del­la vio­len­za, sot­to­lin­ea infat­ti Riva citan­do un’anal­isi Ipsos del­l’an­no scor­so, in Italia nell’85 per cen­to dei casi è il mar­i­to o il con­vivente. «Dei 138 omi­ci­di domes­ti­ci del 2005, 63 sono sta­ti commes­si nel nord del­l’a­giatez­za eco­nom­i­ca e vici­no all’Eu­ropa, 28 nel cen­tro e 47 tra sud e isole. L’indipen­den­za e l’au­tono­mia del­la don­na fan­no pau­ra all’uo­mo-padrone». E Marisa Guarneri, pres­i­dente del­la Casa delle donne mal­trat­tate di Milano, aggiunge che «è aumen­ta­ta, e di molto, la fero­cia. Si sono accor­ciati i tem­pi: all’omi­cidio si arri­va assai più rap­i­da­mente».

Un’indagine con­dot­ta da Lin­da Mag­giori, in col­lab­o­razione con Angela Romanin, per la Casa delle donne per non subire vio­len­za di Bologna, ha pre­so in con­sid­er­azione diver­si casi di fem­mini­cidio, ovvero gli omi­ci­di di donne a causa del loro ses­so, avvenu­ti in Italia nel 2005, e offre ulte­ri­ori spun­ti di rif­les­sione. In par­ti­co­lare viene sot­to­lin­eato come rispet­to al numero totale delle vit­time indi­vid­u­ate (82) ci sia una quo­ta abbas­tan­za con­sis­tente di donne non ital­iane uccise (21), la mag­gior parte delle quali (19) prove­ni­en­ti da Pae­si a ele­va­ta emi­grazione.

«Lo sta­tus di immi­gra­ta — pre­cisa a questo propos­i­to Lin­da Mag­giori — in effet­ti può aumentare il ris­chio di omi­cidio in quan­to le immi­grate potreb­bero essere sen­za per­me­s­so di sog­giorno, o non conoscere la lin­gua, i servizi a dis­po­sizione, potreb­bero non chiedere aiu­to per­ché in alcune cul­ture per la don­na è nor­ma soc­combere sen­za rea­gire, subire sen­za ribel­lar­si. Non si deve però pen­sare che il fenom­e­no del­la vio­len­za di genere sia con­fi­na­to soltan­to alle mino­ranze etniche, per­ché vari stu­di han­no dimostra­to come questo fenom­e­no sia trasver­sale a ogni ceto e cul­tura».

Si può aggiun­gere, inoltre, che è sbaglia­to anche con­sid­er­are Islam e immi­grazione alla stregua di due sinon­i­mi. Almeno 16 delle 21 donne non ital­iane uccise nel 2005 incluse nel­la ricer­ca di Lin­da Mag­giori, infat­ti, proveni­vano da Pae­si non musul­mani, ovvero Ucraina, Roma­nia, Mol­davia, Bel­gio, Dan­i­mar­ca, Ecuador e Argenti­na.

Il ruolo dei media, tra sensazionalismo e stereotipi

A ottenere la mas­si­ma atten­zione dei media e dei politi­ci, però, sono soprat­tut­to i casi che han­no in qualche modo a che fare con l’Is­lam. Da agos­to in poi, per esem­pio, in tv e sui gior­nali ha tenu­to ban­co per set­ti­mane l’omi­cidio di Hina Saleem, la 21enne pachis­tana ammaz­za­ta a coltel­late dal padre per­ché “trop­po lib­era” e sepol­ta nel gia­rdi­no del­la sua casa a Sarez­zo, in provin­cia di Bres­cia.

Poco più di quat­tro mesi pri­ma, alla fine mar­zo, Gio­van­ni Mora­bito — nipote del potente capo del­la ‘ndrangheta cal­abrese Pip­po Mora­bito, det­to “U Tiradrit­tu” — ave­va spara­to quat­tro colpi di pis­to­la in fac­cia alla sorel­la Bruna, che 15 giorni pri­ma ave­va dato alla luce un bam­bi­no avu­to da un uomo che non era suo mar­i­to. Anche Bruna era “trop­po lib­era”, ma la sua vicen­da è fini­ta qua­si subito nel dimen­ti­ca­toio, sen­za provo­care dibat­ti­ti tele­vi­sivi e appas­sion­ati edi­to­ri­ali sui gior­nali. Evi­den­te­mente lei e il fratel­lo era­no trop­po ital­iani per fare notizia.

Come denun­ci­a­to in una relazione pre­sen­ta­ta nel novem­bre 2003 a Mari­na di Raven­na, in occa­sione del sec­on­do con­veg­no nazionale dei Cen­tri antiv­i­o­len­za e delle Case delle donne, la stam­pa tende a ripro­porre stereotipi e pregiudizi sui ruoli di uomi­ni e donne. Nei casi di stupro, abu­so ses­suale e mal­trat­ta­men­to, infat­ti, accan­to a scarne notizie di cronaca, dove i fat­ti ven­gono ripor­tati in modo abbas­tan­za neu­tro, i testi sono spes­so scrit­ti in maniera spet­ta­co­lare, mor­bosa o roman­za­ta.

«Gli accen­ti spes­so sen­sazion­al­is­ti­ci usati nei casi di stupro — si legge nel­la relazione — cre­ano un ecces­si­vo e fal­sato allarmis­mo riguar­do alla percezione del­la sicurez­za dei cit­ta­di­ni. Il mes­sag­gio dato è che lo spazio ester­no, la stra­da, stori­ca­mente e cul­tural­mente maschile, è peri­coloso. E la don­na che subisce una vio­len­za ha, in fon­do, una grave respon­s­abil­ità: quel­la di esser­si volu­ta avven­tu­rare e appro­pri­are di uno spazio che a lei non spet­ta (a meno di essere accom­pa­g­na­ta). Ciò crea anche nelle donne uno scar­to tra ciò che viene per­cepi­to come peri­co­lo e la realtà del fenom­e­no del­la vio­len­za. Ma la stra­grande mag­gio­ran­za degli episo­di di vio­len­za sulle donne accade nei posti che dovreb­bero essere più sicuri: la famiglia, il luo­go di lavoro, quel­lo di stu­dio».

Due omissioni importanti

Sen­sazion­al­is­mo a parte, nel caso speci­fi­co che riguar­da l’onorev­ole San­tanchè e il mal­cap­i­ta­to imam di Seg­rate i prin­ci­pali mezzi di comu­ni­cazione si sono anche resi respon­s­abili di almeno due omis­sioni impor­tan­ti. La pri­ma riguar­da il sig­ni­fi­ca­to delle parole pro­nun­ci­ate da Ali Abu Shwaima. Dare del­l’ig­no­rante, infedele e sem­i­na­trice d’o­dio a una par­la­mentare, infat­ti, può essere giu­di­ca­to sgar­ba­to, offen­si­vo o poco ele­gante. Da qui a con­sid­er­ar­le una minac­cia di morte, però, ce ne corre. Eppure qua­si tut­ti i gior­nali han­no dato per scon­ta­to che i com­men­ti del­l’i­mam equiv­a­lessero a una fat­wa in piena rego­la. E, dili­gen­te­mente, il min­is­tero del­l’In­ter­no ha subito provve­du­to a fornire una scor­ta alla San­tanchè.

Le isti­tuzioni, purtrop­po, non han­no dimostra­to la stes­sa sol­leci­tu­dine nel caso di Deb­o­rah Riz­za­to, l’op­era­ia 25enne di Cos­sato (Biel­la) uccisa a coltel­late nel novem­bre 2005 da un uomo (ital­iano) che l’ave­va vio­len­ta­ta 12 anni pri­ma e che lei ave­va denun­ci­a­to e fat­to arrestare. Lui era usci­to dal carcere dopo tre anni e ave­va ripreso a perse­gui­tar­la e a minac­cia­r­la di morte, ma a Deb­o­rah, nonos­tante le sue ripetute denunce, non era sta­ta for­ni­ta alcu­na pro­tezione. Minac­cia­re esplici­ta­mente di morte un’­op­era­ia, insom­ma, in Italia sem­bra essere con­sid­er­a­to meno grave di dire a un’onorev­ole che è igno­rante, infedele e sem­i­na­trice d’o­dio. Soprat­tut­to se a dir­lo è un imam.

La sec­on­da omis­sione riguar­da Souad Sbai, pres­i­dente del­l’asso­ci­azione delle donne maroc­chine in Italia (Acmid), diret­trice del gior­nale etni­co Al Maghre­biya e mem­bro del­la Con­sul­ta islam­i­ca vara­ta dal­l’ex min­istro Pisanu, le cui dichiarazioni di pieno sosteg­no alle tesi di Daniela San­tanchè sono state rilan­ci­ate da diverse tes­tate. Nel far­lo, però, tutte han­no dimen­ti­ca­to di pre­cis­are che Souad Sbai col­lab­o­ra da tem­po pro­prio con la par­la­mentare di An (si vedano a questo propos­i­to gli arti­coli pub­bli­cati l’8 feb­braio scor­so da Foglio e Sec­o­lo d’I­talia) e che la sua, dunque, era una pre­sa di posizione decisa­mente di parte.

La Padania e il giornalismo prêt-à-porter 

Para­dos­sale, e per cer­ti ver­si istrut­ti­vo, il caso di gior­nal­is­mo prêt-à-porter del­la Pada­nia, pronta a mod­i­fi­care i suoi giudizi sulle per­sone a sec­on­da delle esi­gen­ze politi­co-edi­to­ri­ali del momen­to. Il quo­tid­i­ano del­la Lega Nord, infat­ti, il 25 otto­bre ha pub­bli­ca­to un’in­ter­vista a Souad Sbai in cui l’e­spo­nente musul­mana — che è «sposa­ta con un ital­iano, abi­ta nel nos­tro Paese da 25 anni e non ha pau­ra di con­dannare l’estrem­is­mo» — ha bol­la­to come «allu­ci­nante» e di «arro­gan­za pura» il com­por­ta­men­to del­l’i­mam del­la moschea di Seg­rate, invo­can­do allo stes­so tem­po inter­ven­ti più sev­eri con­tro i fon­da­men­tal­isti da parte di isti­tuzioni e mag­i­s­tratu­ra.

La stes­sa Pada­nia, però, il 3 feb­braio di quest’an­no ave­va ded­i­ca­to alla Sbai un pez­zo di tut­t’al­tro tenore. Sot­to il tito­lo “Musul­mani liti­giosi ma con il sen­so degli affari”, alla pres­i­dente del­l’as­so­ci­azione delle donne maroc­chine in Italia, in questo caso pre­sen­ta­ta in modo spic­cio come «don­na marocchi­na dalle moltepli­ci risorse», sono infat­ti state attribuite attiv­ità poco edi­f­i­can­ti, a par­tire dai pesan­ti insul­ti che qualche mese pri­ma avrebbe posta­to in rap­i­da suc­ces­sione, uti­liz­zan­do vari nomi di fan­ta­sia, sul blog di Sherif El Sebaie, espo­nente di spic­co del­la comu­nità islam­i­ca tori­nese.

Tut­ti i mes­sag­gi incrim­i­nati, ricor­da­va lo stes­so arti­co­lo, sareb­bero par­ti­ti dal­la sede del­la Ange­lo Cos­ta Spa di Roma, che oltre a ospitare l’as­so­ci­azione pre­siedu­ta da Souad Sbai e la redazione di Al Maghre­biya è, soprat­tut­to, il part­ner ital­iano del­la West­ern Union, che gestisce il busi­ness dei trasfer­i­men­ti di denaro all’es­tero del­la grande mag­gio­ran­za degli immi­grati in Italia, e ha cre­ato per scopi com­mer­ciali una serie di asso­ci­azioni, gior­nali e siti di stam­po etni­co. Morale (provvi­so­ria) del­la Pada­nia: anche tra le frange più “mod­er­ate”, o pre­sunte tali, del­l’Is­lam ital­iano l’a­cre­dine e gli insul­ti si spre­cano. Ed è sem­pre un prob­le­ma di sol­di.

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Commento

  1. A propos­i­to di fem­mini­cidio in Italia e nel Mon­do, per saperne di più è disponi­bile un dossier estrema­mente sig­ni­fica­ti­vo e ric­co di infor­mazioni, scar­i­ca­bile lib­era­mente dal sito http://www.giuristidemocratici.it

  2. Mi sem­bra gius­to e cor­ag­gioso il gesto di Daniela San­tanchè. Bas­ta a false toller­anze! Le cul­ture si difendono con il pug­no duro.

  3. Così come bisognerebbe dare più spazio ad episo­di di altro tipo di “velare” la lib­ertà, vedi episo­dio del­la sorel­la del boss di ‘ndrangheta Mora­bito.

  4. Non sono con­corde.
    Proibire il velo non è una soluzione: è una ricer­ca di con­flit­to. Altri sono i prob­le­mi, altre le vie da bat­tere.
    Far si che le bam­bine con gen­i­tori islam­i­ci vadano a scuo­la fino ai 18 anni e istru­ir­le. Ques­ta è la via migliore

  5. A propos­i­to del­la vio­len­za sulle donne, si veda questo post per altri dati — for­ni­ti dal Soc­cor­so vio­len­za ses­suale (Svs) del­la clin­i­ca Man­gia­gal­li di Milano — che con­fer­mano, nel­la sostan­za, quel­li ripor­tati in questo arti­co­lo.

  6. vor­rei sapere a chi riv­ol­ger­mi per denun­cia­re vio­len­ze nei miei con­fron­ti da parte di un uomo, dato che le forze del­l’or­dine non riescono a fare molto per venir­mi in aiu­to. vivo a cor­si­co, in provin­cia di milano, ho subito di tut­to da ques­ta per­sona, gli man­ca solo di ucci­der­mi. ho pau­ra, non esco, non par­lo, non vivo più. den­tro mi ha già uccisa. sono la sua ses­ta vit­ti­ma, ma nes­suno riesce a fer­mar­lo. ha satana in cor­po