in Censura, Giornalismo

Nel World Press Free­dom Index 2006, il quin­to rap­por­to sul­la lib­ertà di stam­pa nel mon­do pub­bli­ca­to oggi da Reporters sans fron­tières (Rsf), l’I­talia figu­ra al 40esimo pos­to — guadag­nan­do così due posizioni rispet­to all’an­no prece­dente — ma è sta­ta scav­al­ca­ta da Pae­si come Bolivia, Ghana, Bul­gar­ia e Pana­ma, e tra gli Sta­ti del­l’Eu­ropa occi­den­tale pre­cede (di poco) soltan­to la Spagna. Il pic­co­lo pas­so in avan­ti del­l’I­talia, pre­cisa l’or­ga­niz­zazione, si deve «alla fine del­l’era di Berlus­coni» e soprat­tut­to al fat­to che durante l’ul­ti­ma cam­pagna elet­torale il suo abu­so degli spazi tele­vi­sivi è sta­to ripetu­ta­mente crit­i­ca­to.

La maglia nera ancora alla Corea del Nord

La clas­si­fi­ca del­la lib­ertà di stam­pa, che quest’an­no com­prende 168 nazioni (ovvero quelle per cui è sta­to pos­si­bile rac­cogliere dati suf­fi­ci­en­ti), è capeg­gia­ta in coabitazione da quat­tro Pae­si del­l’Eu­ropa set­ten­tri­onale — Fin­lan­dia, Irlan­da, Islan­da e Olan­da — dove negli ulti­mi 12 mesi non sono sta­ti reg­is­trati casi di cen­sura, minac­ce, intim­i­dazioni o aggres­sioni a dan­no di gior­nal­isti. In par­ti­co­lare, i pri­mi 15 posti sono tut­ti occu­pati da Pae­si mem­bri del­l’U­nione Euro­pea, con le sole eccezioni di Norve­g­ia e Svizzera, a con­fer­ma del pri­ma­to del vec­chio con­ti­nente.

La maglia nera del­la repres­sione spet­ta invece, anco­ra una vol­ta, alla Corea del Nord. «Purtrop­po nel­l’ul­ti­mo anno nei Pae­si in cui la lib­ertà di stam­pa era più minac­cia­ta non è cam­bi­a­to nul­la — sot­to­lin­ea Rsf — In Corea del Nord, Eritrea, Turk­menistan, Cuba, Bir­ma­nia (Myan­mar) e Cina, infat­ti, i gior­nal­isti con­tin­u­ano a rischiare di morire o di essere imp­ri­gionati. Queste situ­azioni sono estrema­mente serie. È nec­es­sario, quin­di, che i leader di questi Pae­si pren­dano atto di queste critiche e met­tano fine alle con­tin­ue repres­sioni che gra­vano sui mezzi di infor­mazione».

La buona notizia, invece, è che anche quest’an­no alcu­ni Pae­si delle regioni meno svilup­pate del mon­do han­no sca­la­to diverse posizioni nel­la clas­si­fi­ca del­la lib­ertà di stam­pa, scav­al­can­do anche gli Sta­ti Uni­ti e alcu­ni Pae­si europei, Italia com­pre­sa. È il caso, in par­ti­co­lare, del­la Bolivia, balza­ta in un colpo solo dal 45esimo al 16esimo pos­to, che con­di­vide con Aus­tria e Cana­da. Rsf sot­to­lin­ea inoltre l’ul­te­ri­ore pas­so avan­ti del­la Bosnia Herze­gov­ina, che dal­la fine del­la guer­ra nel­la ex Jugoslavia è sta­ta pro­tag­o­nista di un’asce­sa grad­uale che l’ha por­ta­ta fino all’at­tuale 19esima posizione.

Gli Usa sempre più giù. Male anche Francia e Giappone

Fa scal­pore in neg­a­ti­vo, al con­trario, l’ul­te­ri­ore scivolone degli Usa, che han­no per­so altre nove posizioni rispet­to a un anno fa e oggi com­paiono solo al 53esimo pos­to (nel 2002 era­no 17esimi). Sec­on­do Rsf i rap­por­ti tra i media a stelle e strisce e l’am­min­is­trazione Bush «si sono grave­mente dete­ri­o­rati dopo che il pres­i­dente è ricor­so al pretesto del­la “sicurez­za nazionale” per soll­e­vare sospet­ti sui gior­nal­isti che han­no mes­so in dis­cus­sione la sua guer­ra al ter­ror­is­mo». L’or­ga­niz­zazione, in par­ti­co­lare, crit­i­ca lo zelo dei tri­bunali fed­er­ali, che rifi­u­tano di riconoscere ai media il dirit­to di man­tenere ris­er­vate le pro­prie fonti, anche nel caso di inchi­este gior­nal­is­tiche che non han­no nul­la a che fare con il ter­ror­is­mo.

Tra i casi citati con nome e cog­nome quel­lo di Josh Wolf, un blog­ger free­lance fini­to in pri­gione per aver rifi­u­ta­to di con­seg­nare il suo video-archiv­io. E quel­li del cam­era­man sudanese Sami al-Haj, un dipen­dente del­la tele­vi­sione satel­litare ara­ba Al-Jazeera rinchiu­so sen­za proces­so nel­la base mil­itare di Guan­tanamo fin dal giug­no 2002, e di Bilal Hus­sein, fotografo del­l’As­so­ci­at­ed Press trat­tenu­to in Iraq dalle autorità amer­i­cane a par­tire dal­l’aprile scor­so.

Pre­oc­cu­pan­ti anche i pas­si indi­etro di Fran­cia e Giap­pone. Il Paese transalpino, che pure pre­cede l’I­talia al 35esimo pos­to, dal 2002 ha per­so 24 posizioni, cinque delle quali nel­l’ul­ti­mo anno, carat­ter­iz­za­to da un aumen­to delle perqui­sizioni nelle redazioni dei gior­nali e nelle abitazioni dei reporter. I gior­nal­isti france­si sono rimasti vit­time anche di numerose aggres­sioni durante la dis­pu­ta sin­da­cale scop­pi­a­ta attorno alla pri­va­tiz­zazione del­l’azien­da cor­sa Sncm e nelle riv­olte delle per­iferie del novem­bre 2005.

La cadu­ta del Giap­pone dal 37esimo al 51esimo pos­to si deve invece all’e­merg­ere di un’on­da­ta di nazion­al­is­mo, cul­mi­na­ta nelle aggres­sioni di diver­si gior­nal­isti da parte di mil­i­tan­ti di estrema destra (Uyoku) e nel­l’at­ten­ta­to al quo­tid­i­ano finanziario Nihon Keizai Shim­bun di Tokyo, col­pi­to nel­la notte tra il 20 e il 21 luglio da una bom­ba che ha fat­to molti dan­ni ma — for­tu­nata­mente — nes­suna vit­ti­ma.

Le vignette anti-Maometto costano il primo posto alla Danimarca

Le minac­ce piovute con­tro gli autori delle vignette satiriche del pro­fe­ta Maomet­to pub­bli­cate dal gior­nale Jyl­lands-Posten han­no fat­to perdere alla Dan­i­mar­ca il pri­ma­to di un anno fa. «Per la pri­ma vol­ta in anni recen­ti — osser­va a questo propos­i­to Rsf — in un Paese molto rispet­toso delle lib­ertà civili alcu­ni gior­nal­isti han­no dovu­to ricor­rere alla pro­tezione del­la polizia».

La stes­sa vicen­da è costa­ta uno slit­ta­men­to di quat­tro posizioni anche allo Yemen, dove diver­si gior­nal­isti sono sta­ti arresta­ti e alcune tes­tate sono state chiuse per aver ripub­bli­ca­to le vignette incrim­i­nate. E per­se­cuzioni analoghe, ricor­da l’or­ga­niz­zazione, han­no avu­to luo­go in Alge­ria, Gior­da­nia, India e Indone­sia.

Fat­ta eccezione per lo Yemen e l’Ara­bia Sau­di­ta, comunque, nel­la clas­si­fi­ca appe­na pub­bli­ca­ta i Pae­si del­la peniso­la ara­ba han­no miglio­ra­to parec­chio le pro­prie posizioni. Su tut­ti spic­ca il Kuwait, che pre­cede al 73esimo pos­to gli Emi­rati Ara­bi Uni­ti e il Qatar, rispet­ti­va­mente in 77esima e 80esima posizione.

La (poca) libertà di stampa nella Russia di Putin

A pochi giorni dal­l’assas­sinio di Anna Politkovska­ja, il giudizio di Rsf non pote­va essere ten­ero con la Rus­sia di Vladimir Putin, che figu­ra al 147esimo pos­to, nove più in bas­so rispet­to al 2005. L’or­ga­niz­zazione, in par­ti­co­lare, ricor­da che con­tin­ua a restare impuni­to l’omi­cidio di Paul Kleb­nikov, il diret­tore del­l’edi­zione rus­sa di Forbes ucciso a Mosca il 9 luglio del 2004, e sot­to­lin­ea che «grup­pi indus­tri­ali vici­ni al pres­i­dente Putin stan­no pro­gres­si­va­mente assumen­do il con­trol­lo di qua­si tut­ti i mezzi di infor­mazione indipen­den­ti», con con­seguen­ze immag­in­abili in un Paese che sof­fre già di un forte deficit, per usare un eufemis­mo, di democrazia.

Le cose non van­no meglio in Asia cen­trale, dove il pres­i­dente Islam Kari­mov con­tin­ua a gov­ernare con piglio sovi­eti­co l’Uzbek­istan, al 155esimo pos­to del­la clas­si­fi­ca sti­la­ta da Rsf. La situ­azione si è ulte­ri­or­mente dete­ri­o­ra­ta dopo la riv­ol­ta del mag­gio 2005 ad Andi­jan. Per i gior­nal­isti stranieri, con­siderati alla stregua di agi­ta­tori e ter­ror­isti, è diven­ta­to sem­pre più dif­fi­cile ottenere visti di ingres­so nel Paese, e le redazioni dei cor­rispon­den­ti del­la Bbc e di Radio Free Europe/Radio Lib­er­ty sono state chiuse.

icon-file‑o  La clas­si­fi­ca com­ple­ta del World Press Free­dom Index (.pdf — 103 Kb)

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Commento

  1. E’ cam­bi­a­to il gov­er­no ma siamo anco­ra in una pes­si­ma clas­si­fi­ca per quan­to riguar­da il dirit­to di stam­pa.

  2. » Come mai i Pae­si pre­si in con­sid­er­azione sono 168 men­tre le Nazioni di tut­to il mon­do sono 192?

    Sul pro­prio sito Reporters sans fron­tières spie­ga che il rap­por­to sul­la lib­ertà di stam­pa nel mon­do è sta­to com­pi­la­to attra­ver­so la dis­tribuzione di un ques­tionario di 50 domande sot­to­pos­to a 14 orga­niz­zazioni impeg­nate in dife­sa del­la lib­ertà di espres­sione, a un net­work di 130 cor­rispon­den­ti di Rsf, oltre che a gior­nal­isti, giuristi e attivisti per i dirit­ti umani.

    A propos­i­to delle nazioni non inserite nel rap­por­to, invece, viene det­to soltan­to che sono state escluse per man­can­za di dati. Ovvero non ave­vano abbas­tan­za fonti attendibili per pot­er esprimere un giudizio cred­i­bile sul liv­el­lo del­la lib­ertà di stam­pa in questi Pae­si.

  3. Mi pare che ci sia poco da stare alle­gri. L’u­ni­ca sper­an­za siamo noi blog­ger… cor­ag­gio, diamo­ci da fare pri­ma di fare la fine del­l’I­ran o del­la Cina.

  4. Tramite http://www.libero.it ho vis­to il com­men­to alla clas­si­fi­ca del­la lib­ertà di stam­pa nel mon­do, sti­la­ta da Reporters Sans Fron­tiers, com­men­to che era pre­so pari pari dal Vs. sito, e per questo scri­vo a voi. Ho let­to i com­men­ti ripor­tati nel sito di RSF, ma non ho trova­to, né nel­la ver­sione in Inglese né in quel­la in Francese, il rifer­i­men­to alla cadu­ta di Berlus­coni quale causa del­l’a­van­za­men­to di 2 posizioni, dal 42° al 40° pos­to, nel­la clas­si­fi­ca. Mi potete indi­care dove è scrit­to nel sito di RSF? Gra­zie

  5. » Ho let­to i com­men­ti ripor­tati nel sito di RSF, ma non ho trova­to, né nel­la ver­sione in Inglese né in quel­la in Francese, il rifer­i­men­to alla cadu­ta di Berlus­coni quale causa del­l’a­van­za­men­to di 2 posizioni, dal 42° al 40°? pos­to, nel­la clas­si­fi­ca. Mi potete indi­care dove è scrit­to nel sito di RSF? Gra­zie

    Il rifer­i­men­to alla situ­azione ital­iana e alla fine del­l’era di Berlus­coni è con­tenu­to in questo comu­ni­ca­to stam­pa (si veda il pri­mo para­grafo del­la terza pag­i­na). Sul sito di Reporters sans fron­tières il link a questo file pdf è pub­bli­ca­to in coda alla pag­i­na prin­ci­pale del World Press Free­dom Index 2006.

  6. Rispet­to alla mia rispos­ta prece­dente, aggiun­go che lo stes­so rifer­i­men­to a Berlus­coni e alla situ­azione ital­iana è con­tenu­to anche in ques­ta pag­i­na, all’in­ter­no del­la sezione inti­to­la­ta “Gaps widen inside the Euro­pean Union”.