in Giornalismo

Inter­nazionale ha ded­i­ca­to la cop­er­ti­na del suo penul­ti­mo numero ad Anna Politkovska­ja, la gior­nal­ista rus­sa di 48 anni assas­si­na­ta il 7 otto­bre a Mosca da un sicario nei pres­si del­la sua abitazione. Dagli arti­coli ripro­posti dal set­ti­manale emerge la figu­ra di una don­na sin­cera, cor­ag­giosa, osti­na­ta e appas­sion­a­ta. Virtù tan­to rare quan­to peri­colose in un paese come la Rus­sia con­tem­po­ranea di Vladimir Putin. E, tut­to som­ma­to, anche in Italia.

Come ha ricorda­to Valer­ij Jakov su Novye Izvesti­ja, una delle tes­tate per cui ha lavo­ra­to Politkovska­ja, «la gente si riv­ol­ge­va a lei non come a una gior­nal­ista, ma come a qual­cuno di cui fidar­si, per­ché sape­vano che Anna non imbrogli­a­va, non tace­va per motivi di con­ve­nien­za, non abban­don­a­va. Non cer­ca­va di accat­ti­var­si le sim­patie del potere, non mira­va a pre­mi e riconosci­men­ti, anche se ne ha ottenu­ti molti. Scrive­va ciò che ritene­va nec­es­sario scri­vere e dice­va quel­lo che pen­sa­va».

Anna Politkovskaja sulla copertina di Internazionale del 13 ottobre 2006Il suo gior­nal­is­mo, ha aggiun­to Jakov, «era un atto di sol­i­da­ri­età ver­so le per­sone di cui scrive­va. A pri­ma vista pote­va sem­brare una sol­i­da­ri­età ver­so sin­gole per­sone, vit­time di fol­li ingius­tizie. Ma nel­la sostan­za era una sol­i­da­ri­età ver­so il nos­tro paese, che non è anco­ra usci­to dal pan­tano di tragedie, arbi­trio e crudeltà in cui è spro­fonda­to. È questo gior­nal­is­mo — ormai sem­pre più raro per­ché osteggia­to dal potere — e non quel­lo sdol­ci­na­to e alla moda, che è in gra­do di con­trastare il degra­do del­la nos­tra soci­età, l’epi­demia di nazis­mo e la dis­gregazione del­la Rus­sia».

Leggen­do queste righe tor­na alla mente un pas­sag­gio del­la Car­ta dei doveri del gior­nal­ista, approva­ta l’8 luglio del 1993 dal Con­siglio Nazionale del­l’Or­dine dei Gior­nal­isti e dal­la Fed­er­azione Nazionale del­la Stam­pa Ital­iana. Tra i suoi prin­cipi si legge infat­ti che «la respon­s­abil­ità del gior­nal­ista ver­so i cit­ta­di­ni prevale sem­pre nei con­fron­ti di qual­si­asi altra. Il gior­nal­ista non può mai sub­or­di­narla ad inter­es­si di altri e par­ti­co­lar­mente a quel­li del­l’ed­i­tore, del gov­er­no o di altri organ­is­mi del­lo Sta­to».

Per molti gior­nal­isti ital­iani, che pure vivono in un paese meno peri­coloso del­la Rus­sia di Putin, questo prin­ci­pio solenne — ammes­so che conoscano la Car­ta dei loro doveri — ha più o meno lo stes­so peso di una barzel­let­ta. Basti pen­sare al cat­toli­cis­si­mo, ex vicedi­ret­tore di Libero, Rena­to Fari­na, nome in codice Betul­la, che invece di lavo­rare nel­l’in­ter­esse dei let­tori o almeno del­l’ed­i­tore del suo gior­nale, sta­va sul libro paga del Sis­mi, il servizio seg­re­to mil­itare ital­iano.

Per lui, che avrebbe mer­i­ta­to la radi­azione imme­di­a­ta dal­l’Or­dine dei Gior­nal­isti, è scat­ta­ta addirit­tura una grottesca rac­col­ta di firme con­tro la deci­sione di sospender­lo per un anno. Per Anna Politkovska­ja, invece, la respon­s­abil­ità del gior­nal­ista ver­so i cit­ta­di­ni era una cosa seria. Tan­to seria da rimet­ter­ci la vita. Ne sen­tire­mo molto la man­can­za.

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