Internazionale ha dedicato la copertina del suo penultimo numero ad Anna Politkovskaja, la giornalista russa di 48 anni assassinata il 7 ottobre a Mosca da un sicario nei pressi della sua abitazione. Dagli articoli riproposti dal settimanale emerge la figura di una donna sincera, coraggiosa, ostinata e appassionata. Virtù tanto rare quanto pericolose in un paese come la Russia contemporanea di Vladimir Putin. E, tutto sommato, anche in Italia.
Come ha ricordato Valerij Jakov su Novye Izvestija, una delle testate per cui ha lavorato Politkovskaja, «la gente si rivolgeva a lei non come a una giornalista, ma come a qualcuno di cui fidarsi, perché sapevano che Anna non imbrogliava, non taceva per motivi di convenienza, non abbandonava. Non cercava di accattivarsi le simpatie del potere, non mirava a premi e riconoscimenti, anche se ne ha ottenuti molti. Scriveva ciò che riteneva necessario scrivere e diceva quello che pensava».
Il suo giornalismo, ha aggiunto Jakov, «era un atto di solidarietà verso le persone di cui scriveva. A prima vista poteva sembrare una solidarietà verso singole persone, vittime di folli ingiustizie. Ma nella sostanza era una solidarietà verso il nostro paese, che non è ancora uscito dal pantano di tragedie, arbitrio e crudeltà in cui è sprofondato. È questo giornalismo — ormai sempre più raro perché osteggiato dal potere — e non quello sdolcinato e alla moda, che è in grado di contrastare il degrado della nostra società, l’epidemia di nazismo e la disgregazione della Russia».
Leggendo queste righe torna alla mente un passaggio della Carta dei doveri del giornalista, approvata l’8 luglio del 1993 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Tra i suoi principi si legge infatti che «la responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato».
Per molti giornalisti italiani, che pure vivono in un paese meno pericoloso della Russia di Putin, questo principio solenne — ammesso che conoscano la Carta dei loro doveri — ha più o meno lo stesso peso di una barzelletta. Basti pensare al cattolicissimo, ex vicedirettore di Libero, Renato Farina, nome in codice Betulla, che invece di lavorare nell’interesse dei lettori o almeno dell’editore del suo giornale, stava sul libro paga del Sismi, il servizio segreto militare italiano.
Per lui, che avrebbe meritato la radiazione immediata dall’Ordine dei Giornalisti, è scattata addirittura una grottesca raccolta di firme contro la decisione di sospenderlo per un anno. Per Anna Politkovskaja, invece, la responsabilità del giornalista verso i cittadini era una cosa seria. Tanto seria da rimetterci la vita. Ne sentiremo molto la mancanza.
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