«Nel mondo dei prossimi anni ci si batte per la pace e la libertà partecipando alle iniziative occidentali che vanno in quella direzione. In caso contrario, noi benestanti italiani assomiglieremo sempre più a quei residenti dei quartieri alti delle metropoli americane, protetti da muri di cinta e da guardie private».
Al ministro-blogger Paolo Gentiloni sono bastate poche righe per liquidare le polemiche delle ultime settimane sulla presenza militare italiana in Afghanistan e difendere la decisione del governo Prodi di procedere al suo rifinanziamento. Il ragionamento del ministro delle Comunicazioni, però, suscita più di una perplessità.
Del resto considerare la missione afgana alla stregua di un’iniziativa per la pace e la libertà significa ignorare quanto è successo dopo la cacciata a suon di bombe (poco intelligenti) del regime talebano. Delle tante promesse di pace, democrazia e persino emancipazione femminile, sbandierate dalla retorica guerrafondaia alla vigilia dell’attacco per conquistare il sostegno di un’opinione pubblica recalcitrante, nell’Afghanistan di oggi, infatti, non è rimasta traccia.
È di questi giorni, per esempio, la notizia che un consiglio di religiosi nominato dal governo del presidente filo-occidentale Hamid Karzai ha proposto di riesumare il cosiddetto Dipartimento per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, un eufemismo già utilizzato per indicare la temuta polizia religiosa che, durante il regime talebano, pattugliava le strade con il compito di punire le donne che osavano mostrarsi in pubblico senza il burka e gli uomini che si tagliavano la barba o erano sorpresi ad ascoltare musica.
Da un servizio di Gianluca Di Feo, pubblicato sull’Espresso lo scorso 9 maggio, si è appreso, inoltre, che i fondi stanziati dall’Italia per la missione in Afghanistan sono andati quasi tutti agli 007 del Sismi, per quelle che vengono definite «le attività di informazioni e sicurezza della presidenza del Consiglio dei ministri», mentre agli aiuti alla popolazione locale sono toccate soltanto le briciole. Una situazione identica a quella registrata sul fronte iracheno di Nassiriya dove — ha spiegato sempre l’Espresso sulla base di documenti ufficiali — abbiamo investito «cento milioni di spese militari per ogni milione di aiuti».
Mentre i riflettori di tutto il mondo sono puntati sull’ennesima guerra in Medio Oriente tra Israele e Libano — una guerra più recente e, quindi, più telegenica — la guerra afgana, vecchia ormai cinque anni, è proseguita senza soluzione di continuità. Negli ultimi mesi, anzi, le violenze si sono intensificate, con i talebani che attaccano quasi quotidianamente nelle aree del sud.
Nel bilancio (provvisorio) dei morti di quest’anno figurano quasi 80 soldati stranieri, centinaia di militari delle forze afgane, oltre a molti civili e operatori umanitari, e il peggioramento della sicurezza nel Paese ha appena spinto l’Australia a irrobustire il suo contingente con l’invio di altri 150 soldati. Una decisione, questa, che segue quella ufficializzata il 10 luglio dal ministro della Difesa inglese, Des Browne, che ha annunciato che la Gran Bretagna invierà altri 900 soldati e alcuni elicotteri di rinforzo nelle province meridionali dell’Afghanistan.
Con buona pace di Gentiloni, la verità è che sono stati proprio i benestanti residenti nei quartieri alti (americani ma non solo), protetti da muri di cinta e guardie private, ad aver deciso e promosso le guerre fallimentari degli ultimi anni in Afghanistan e in Iraq, per motivi che — propaganda a parte — non hanno nulla a che vedere con la filantropia e la libertà. E non sorprende che il loro rappresentante più autorevole, il benestantissimo George W. Bush, che da quando è stato eletto presidente non perde occasione per farsi fotografare in divisa militare, sia lo stesso che all’inizio degli anni Settanta, all’epoca del suo servizio di leva, riuscì a evitare di essere spedito a combattere — ed eventualmente morire — in Vietnam.
Sarebbe sufficiente introdurre il principio che chi sostiene la necessità di scatenare una guerra — qualsiasi guerra — debba assumersi anche l’onere di combatterla in prima persona per vedere precipitare drasticamente il numero dei conflitti in corso nel mondo. E in particolare di quelli fortissimamente voluti dai benestanti occidentali che vivono nei quartieri descritti dal nostro ministro delle Comunicazioni.
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