Caro Beppe, essendo giornalista mi sono sentito chiamato in causa dal tuo post del 24 luglio dedicato alla mia categoria. Premetto che, come mi capita spesso, concordo con (quasi) tutte le tue osservazioni, ma siccome in futuro probabilmente tornerai sull’argomento ho pensato di offrirti un ulteriore spunto di riflessione, partendo dalla mia esperienza personale.
Ho 34 anni e bazzico nel giornalismo da quando ne avevo 17. Nel novembre 2004 sono approdato alla direzione di un piccolo settimanale cremonese che si chiama — appunto — Il Piccolo Giornale, non finanziato tra l’altro dai contributi della legge per l’editoria.
Un anno dopo, però, per motivi personali mi sono dovuto dimettere e sono tornato a vivere in provincia di Roma, campando finora grazie alla generosa indennità di disoccupazione elargita dall’Inpgi, la cassa di previdenza dei giornalisti. L’indennità, però, non durerà per sempre, quindi mi sono messo subito alla ricerca di un nuovo impiego.
Modestia a parte, credo di avere l’esperienza e le capacità per lavorare dignitosamente in qualsiasi testata. O almeno per provarci. Il problema, però, è che per lavorare nel giornalismo non basta un curriculum all’altezza della situazione. Bisogna anche avere la possibilità di presentarlo a qualcuno. In Italia, invece, il mercato del lavoro nel giornalismo è — semplicemente — inesistente.
Ti sei mai imbattuto in un annuncio di lavoro del Corriere della Sera, della Repubblica, della Stampa, del Giornale o di qualsiasi altra testata? Io no. In Italia, infatti, nel mondo dell’informazione è in vigore una sorta di feudalesimo, che impone all’aspirante vassallo una gavetta che può durare parecchi mesi o anni prima di entrare (forse) nella redazione in pianta stabile.
L’unica eccezione — a dire il vero piuttosto diffusa — è costituita da chi, per grazia ricevuta (ovvero amicizie e/o parentele importanti), approda direttamente al posto fisso, a prescindere dalle sue effettive capacità.
L’anomalia di questa situazione è lampante se si confronta con quella di altri Paesi. Io, avendo vissuto tre anni a Londra, conosco bene quella inglese. Ogni settimana, per esempio, sul Guardian, uno dei principali quotidiani di qualità, vengono pubblicati in un inserto speciale diversi annunci di lavoro nel settore del giornalismo e, più in generale, della comunicazione, con requisiti chiari e una procedura trasparente di selezione.
La certezza di essere assunti non si può mai avere — ovviamente — neanche lì, ma almeno si ha la possibilità di fare domanda, sapendo che qualcuno, prima di gettarlo eventualmente nel cestino, almeno un’occhiata al tuo curriculum gliela darà, a prescindere da amicizie e/o parentele. E non è una cosa da poco.
È questo il motivo per cui, pur non sottraendomi al rito fideistico dell’invio del curriculum ai direttori dei nostri giornali, non escludo di cominciare a cercare un posto oltremanica. Anche perché a 34 anni la prospettiva di ricominciare un’altra volta dalla gavetta, con qualche collaborazione occasionale e sottopagata e il miraggio di un impiego un po’ più stabile che forse non arriverà mai, non è particolarmente incoraggiante.
Non so se il mio caso potrebbe rientrare nella famigerata fuga di cervelli, ma ho la certezza che in Italia, fino a quando le procedure di reclutamento non cambieranno drasticamente, molti giornalisti saranno dei vassalli prima ancora di mettere piede in redazione. Con tutti i guai che ne conseguono per la qualità dell’informazione.
Articolo pubblicato anche su Medium
Buon giorno, ho letto volentieri il suo articolo e concordo con le in molti punti. Dopo la laurea in scienze politiche con Lode, ho iniziato l’arduo cammino del giornalismo e a trentadue anni mi ritrovo con molte collaborazioni intraprese a titolo gratuito, tanta passione per questo lavoro, ma un’effettiva mancanza di un lavoro solido e remunerato in grado di assicurarmi anche solo dignitosamente una futura pensione.
Certo ora è presto e non è di sicuro il “tempo” per trarre conclusioni, ma visto la crisi in Italia, penso sia lecita una riflessione in tema di lavoro precario.
Quel manca non sono tante le opportunità di lavoro di per sé, quanto le opportunità stesse di lavoro remunerato nel giornalismo.
Insomma, se sei bravo, sono tutti pronti a offrirti la loro piattaforma dove dar sfogo alla tua creatività, ma a livello di posto fisso, remunerazione per cartelle secondi i tariffari previsti dall’ordine ecc…, neanche l’ombra. Almeno per quanto mi concerne è così. Internet è un’ampia vetrina, e offre tante possibilità di interazione tra gli utenti (successo dei forum e vari social network) ma se ami scrivere e vuoi fare dell’informazione il tuo lavoro, constato che le opportunità concrete si riducono presto a rimanere belle chimere.
Scrivo tuttora per un quotidiano on line, e ho ottimi rapporti con le persone che conosco ma non posso permettermi il lusso di dedicarmi quotidianamente a questa pratica, visto che mi trovo a cercare anche in rete una qualche forma di lavoro, possibilmente sfruttando la mia laurea, che sia però nel contempo redditizia.
Ho scritto un romanzo e ho vinto due premi, anche importanti; l’ho fatto perché amo scrivere e penso non ne potrei fare a meno, ma mi trovo a fare i conti con una società dove passione e C.V anche brillanti non garantiscono affatto i presupposti per un futuro “sicuro”
Ho letto il suo C.V e ho notato un punto in comune: anch’io mi sto rivolgendo con gli occhi all’estero, (magari qualche tirocinio o forma di collaborazione) e avendo molti interessi, spero trovare qualche redazione di giornale aperta a figure anche non “raccomandate” ma accomunate dallo spirito di libertà, volontà e passione di leggere, scrivere e divulgare in modo corretto che ritengo siano i cardini della professione del giornalista
Sarei felice di poter scambiare idee e opinioni con lei
La saluto cordialmente
Grazie per la possibilità di sfogo che mi ha offerta e dalla quale ho preso spunto
Arrivederci
E. E. A