A osservarli nel silenzio della notte dal cavalcavia del cimitero, addormentati uno accanto all’altro, come gatti, sui binari di fronte alla stazione di Cremona, i treni fanno quasi tenerezza. Alla luce del giorno, però, il loro effetto sull’umore dei pendolari è quasi sempre l’opposto: rabbia e frustrazione. La soluzione dei problemi delle ferrovie, infatti, in Italia sembra essere inversamente proporzionale all’enorme quantità di inchiostro versato per denunciarli, e le consuete, scontate promesse elettorali — vedi le ultime regionali — quando riguardano vagoni e locomotori sono destinate a cadere quasi sempre nel vuoto, in attesa dell’appuntamento successivo con le urne.
Il guaio è che è difficile, se non impossibile, trovare un colpevole con cui prendersela, perché nel nostro Paese il problema ha radici lontane e sotto qualsiasi governo, che fosse di destra o di sinistra, il trasporto su gomma ha sempre avuto la meglio sulle rotaie. Rispetto al passato, però, oggi la questione sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza. Sono drammatici, per esempio, i contenuti di un recente studio targato Oms, che prevede che entro il 2030 in Europa il numero delle persone che utilizzano un’automobile aumenterà di oltre il 150 per cento. Con conseguenze facilmente immaginabili sul traffico e sull’inquinamento delle nostre città, che già ora soffocano in una nube di polveri sottili.
E drammatico è anche il comportamento dei vertici delle ferrovie, che negli ultimi anni hanno impresso una svolta commerciale all’azienda, privilegiando le tratte più redditizie, vale a dire quelle che collegano le metropoli della penisola, a tutto svantaggio dei cosiddetti “rami secchi”, come la Milano-Cremona-Mantova. È probabile che da un punto di vista commerciale l’operazione abbia un senso, ma di fatto si è già creato un gap enorme tra le linee di serie A — quelle degli Eurostar per intenderci — e quelle di serie B o C, percorse quotidianamente da milioni di pendolari. Un divario destinato ad aumentare con il prossimo avvento dell’Alta Velocità.
Cui prodest? Difficile dirlo. Quello che è chiaro, però, è che per l’ennesima volta stiamo assistendo al sistematico spreco di ingenti risorse pubbliche in opere di fatto inutili o, peggio, dannose, come il ponte sullo Stretto di Messina o la metropolitana di Parma, mentre per interventi meno appariscenti, ma assai più urgenti per la collettività, vengono stanziate solo le briciole. Mah, chi ci capisce qualcosa è bravo.
Editoriale pubblicato il 17 settembre 2005 sul Piccolo Giornale di Cremona
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