I am not afraid, io non ho paura. All’indomani delle bombe scoppiate nel cuore di Londra, sono moltissimi gli internauti di tutto il mondo che hanno voluto lanciare questo messaggio sulla rete, in un tormentone digitale volto soprattutto a esorcizzare gli incubi provocati dagli attentati. Adesso che è emerso che dietro la strage ci sarebbero quattro giovani islamici con passaporto britannico, io invece ho ancora più paura di prima.
Tra il 1995 e il 1998 ho trascorso nella capitale inglese tre degli anni della mia vita più belli, apprezzandone soprattutto il clima multiculturale che la caratterizza. A Londra, come hanno ripetuto in molti in questi giorni, non ti senti infatti inglese, italiano, russo o pachistano, ma semplicemente londinese. Il fatto che il terrorismo abbia colpito anche lì, attraverso dei kamikaze con un curriculum molto diverso da quello del tipico terrorista incallito, non può non allarmare e ci insegna alcune lezioni di cui sarà bene tenere finalmente conto.
La più scontata è che questo tipo di terrorismo è spietato e pronto a tutto pur di seminare, appunto, terrore. La seconda, che ci coinvolge più direttamente, riguarda le azioni intraprese dall’11 settembre del 2001 in avanti dagli Usa, con l’appoggio pressoché incondizionato di Paesi come la Gran Bretagna, la Spagna e la nostra Italia. Oggi, infatti, anche i guerrafondai più convinti dovrebbero essersi resi conto che l’avventura nel pantano iracheno è stata un tragico errore, destinato a rinfocolare il terrorismo internazionale, non a soggiogarlo, fino a spingere alcuni ragazzi a trasformarsi in bombe ambulanti in nome della guerra all’occidente di cui essi stessi facevano parte.
Gli attentati londinesi, poi, segnano l’ennesimo fallimento di quella che viene eufemisticamente definita “intelligence”, ma che ultimamente di intelligenza ne ha dimostrata ben poca. Stiamo spendendo miliardi per controllare militarmente un Iraq che appare sempre più incontrollabile e, a quattro anni dall’11 settembre, dopo il 7 luglio ci siamo sentiti ripetere la stessa identica giustificazione di allora: non abbiamo abbastanza agenti in grado di comprendere l’arabo (!).
Intelligence a parte, però, la vera lezione che dobbiamo imparare è che contro questo terrorismo, come ha in parte ammesso lo stesso Tony Blair, non ci sono cannoni, poliziotti, leggi speciali o servizi segreti che possano garantire che non si verifichino altri episodi simili. Quello che serve, semmai, è un drastico cambio nella politica occidentale portata avanti nei confronti dei Paesi più poveri in generale, e di quelli arabi in particolare. E serve in fretta.
Editoriale pubblicato il 23 luglio 2005 sul Piccolo Giornale di Cremona
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