in Storia, Guerra e pace

Dopo l’ul­ti­ma riu­nione del­la Com­mis­sione Topono­mas­ti­ca, il caso Prot­ti è “con­ge­la­to” fino almeno a dopo l’es­tate, ma per Enri­co “Kiro” Fogli­az­za, memo­ria stor­i­ca del­la Resisten­za cre­monese, il Comune non può che rispon­dere in un modo a chi chiede di inti­to­lare una via del­la cit­tà al grande baritono, con un trascor­so nel­la Repub­bli­ca di Salo e una pre­sen­za, ormai accer­ta­ta, in Valle di Susa, dove le milizie nazi-fas­ciste tru­ci­darono moltissi­mi par­ti­giani. Ques­ta rispos­ta è un chiaro, sem­plice, inequiv­o­ca­bile “no”.

«Non mi fa piacere par­lare di queste cose anche per­ché sono ormai pas­sati più di ses­san­t’an­ni — spie­ga Kiro — Già all’e­poca ci era arriva­ta la notizia che ad Avigliana c’era un grup­po di fascisti cre­mone­si faci­norosi, anche se non pote­va­mo sapere con certez­za di chi si trat­ta­va. Prot­ti l’ho conosci­u­to durante il servizio mil­itare a Casal­but­tano. Io ero dis­tac­ca­to nei trat­toristi, alla filan­da di Jaci­ni, nel­la ris­er­va per le truppe des­ti­nate alla Rus­sia, lui invece era ser­gente nel dis­tac­ca­men­to dei mar­con­isti di stan­za all’asi­lo. Lo ricor­do come un per­son­ag­gio un po’ stra­no, che face­va molto bac­cano, ma nel com­p­lesso era un bra­vo ragaz­zo, con un carat­tere bonario. Nel 1984, però, ho rice­vu­to un doc­u­men­to molto det­taglia­to che ripor­ta­va i nomi di ras­trel­la­tori fascisti cre­mone­si e berga­m­aschi, tra cui fig­u­ra­va anche quel­lo di Prot­ti. Non so chi sia sta­to a farme­lo avere, ma cre­do che si trat­tasse di un ex mil­i­tante delle Brigate Nere che ave­va pau­ra di uscire allo scop­er­to e che ave­va saputo che sta­vo rac­coglien­do mate­ri­ali e tes­ti­mo­ni­anze per il mio libro “Deo e i cen­to cre­mone­si in Valle di Susa”. Essendo ormai pas­sati quar­an­t’an­ni, però, non mi sono pre­mu­ra­to di andare a casa di Prot­ti, che ave­vo riv­is­to più volte dopo la lib­er­azione, anche per non tur­bare la sua famiglia, i suoi bam­bi­ni, e per­ché mi sem­bra­va gius­to far­la fini­ta con queste ques­tioni».

«Era mio dovere intervenire contro queste forzature»

L’at­teggia­men­to di Kiro, però, è cam­bi­a­to dopo la martel­lante cam­pagna pro­mossa dal­la destra per inti­to­lare al baritono una via del­la cit­tà. «Non solo al baritono — pre­cisa — ma al baritono ma patri­o­ta, al baritono ma politi­co. Mi sono sen­ti­to tira­to per i capel­li, per­ché io ho delle mem­o­rie da difend­ere, dei mor­ti da ricor­dare insieme alle loro famiglie. Di fronte a una sim­i­le forzatu­ra delle cose ho ritenu­to che fos­se un mio dovere inter­venire per fer­mare ques­ta baraon­da. Di recente, in occa­sione del­la tap­pa cre­monese del­la Fiac­co­la del­la Lib­ertà, ho par­la­to anche nel­la piazzetta del Comune. Forse in modo un po’ trop­po urla­to, per­ché non sono sta­to in gra­do di par­lare con la tes­ta, ma bisogna ren­der­si con­to che ognuno ha un pro­prio ani­mo, un pro­prio cuore, e non sono rius­ci­to a stare zit­to. Adesso mi auguro che il Comune fac­cia la sua parte, resp­in­gen­do al mit­tente una richi­es­ta che è sta­ta trop­po politi­ciz­za­ta. Qui non è in dis­cus­sione la mil­i­tan­za di Prot­ti nel Movi­men­to sociale ital­iano, ma la sua pre­sen­za tra i ras­trel­la­tori dei par­ti­giani, che si sono mac­chiati di delit­ti orri­bili».

Per Fogli­az­za, la svol­ta deter­mi­na­ta dal­la battaglia per la lib­er­azione dal naz­i­fas­cis­mo «dovrebbe innanz­i­tut­to essere con­sid­er­a­ta pos­i­ti­va da parte degli ex fascisti ed ex missi­ni». Da qui, in esplic­i­to rifer­i­men­to ad alcune prese di posizione espresse di recente in con­siglio comu­nale da alcu­ni con­siglieri del­la destra, una dura pre­sa di posizione: «Dal 1915 al 1945 ci sono state due guerre mon­di­ali in Europa, due mas­sac­ri di mas­sa, con 45 mil­ioni di mor­ti solo nel­l’ul­ti­mo con­flit­to. Questi bam­bi­ni qui, che par­lano di polit­i­ca con un lin­guag­gio offen­si­vo, den­i­gran­do la Resisten­za e tiran­do sem­pre in bal­lo i comu­nisti assas­si­ni, non si ren­dono con­to di quel­lo che dicono, la sto­ria non ha inseg­na­to loro nul­la, sono degli avven­turi­eri ai quali bisogna prestare atten­zione, per­ché sono peri­colosi. In pas­sato in Europa era suf­fi­ciente un pretesto, anche futile, per far scop­pi­are una guer­ra. Se dal 1945, invece, abbi­amo vis­su­to in un con­ti­nente paci­fi­ca­to, che attra­ver­so l’U­nione Euro­pea è in gra­do di risol­vere le dis­pute tra gli Sta­ti con la diplo­mazia piut­tosto che con le armi, è pro­prio per­ché c’è sta­ta la Resisten­za in Europa, in Italia e, a liv­el­lo mon­di­ale, c’è sta­ta un’u­nione con la creazione del­l’Onu, con tutte le sue debolezze, dovute anche al fat­to che gli Sta­ti Uni­ti non finanziano l’or­ga­niz­zazione con tutte le risorse che sareb­bero tenu­ti a ver­sar­le. C’è sta­ta, insom­ma, una con­quista, nel­la quale gli ex fascisti si sono inser­i­ti. Chi non ha fat­to la fine di piaz­za­le Lore­to, ha ripreso lib­era­mente la sua attiv­ità, aiu­ta­to anche dal­l’am­nis­tia di Togli­at­ti, che non dob­bi­amo mai dimen­ti­care. Oggi sono arrivati persi­no al gov­er­no nazionale, e quin­di dovreb­bero essere loro i pri­mi a inneg­gia­re alla Resisten­za, ai par­ti­giani e al 25 aprile, che han­no per­me­s­so loro di diventare uomi­ni liberi».

«Per me il 2 luglio del 1944 è una data storica»

Kiro è reduce dai due giorni di com­mem­o­razione orga­niz­za­ti il 2 e 3 luglio scor­si al Colle del Lys, in Valle di Susa, per ricor­dare l’ec­cidio di 61 anni fa, in cui persero la vita 32 gio­vani par­ti­giani, tra i quali anche cinque cre­mone­si (Edoar­do Boc­cali­ni, 39 anni, Giampao­lo Con­ca, 23, Ben­i­to Fales­chi­ni, 18, Fran­co Scala, 23, e Alfre­do Zani­boni, 34). «Per me il 2 luglio del 1944 rap­p­re­sen­ta una data stor­i­ca, che è sta­ta deci­si­va per il mio futuro. Io, infat­ti, sono del­la classe del 1920, una gen­er­azione nata sot­to il fas­cis­mo in una soci­età dom­i­na­ta dal regime, sen­za par­ti­ti di oppo­sizione né dialet­ti­ca polit­i­ca. Il sen­so criti­co, quin­di, in noi gio­vani di allo­ra era molto lim­i­ta­to, tan­to che la scelta di andarmene in mon­tagna non è sta­ta una scelta di con­vinzione polit­i­ca, per­ché non pote­vo nep­pure avere una con­vinzione polit­i­ca, ma piut­tosto una deci­sione sca­tu­ri­ta dal­la volon­tà di far­la fini­ta con la guer­ra, con il fas­cis­mo, con i tedeschi, con i bom­bar­da­men­ti. Far­la fini­ta, insom­ma, con una vita molto dif­fi­cile. Oltre a un sen­so di ingius­tizia gen­erale, diven­tan­do adul­to den­tro di me lo shock del­la guer­ra ha deter­mi­na­to una con­vinzione».

Non è sta­ta, però, una scelta facile, per­ché «si trat­ta­va di scegliere tra il fas­cis­mo e i par­ti­giani, di cui allo­ra si sape­va ben poco. La Repub­bli­ca di Salò del­l’e­poca li defini­va ribel­li, ban­di­ti, fuo­ri­legge, badogliani, e la nos­tra volon­tà, una vol­ta arrivati lì, era solo quel­la di tornare a casa il più presto pos­si­bile. Gli alleati ave­vano già lib­er­a­to Roma ed erava­mo con­vin­ti di una loro sol­lecita cav­al­ca­ta ver­so il nord Italia. Mi ricor­do per esem­pio di Giampao­lo Con­ca, il nipote di Negroni, che era arriva­to in mon­tagna con me all’inizio di giug­no con una valiget­ta di viveri, e si dice­va con­vin­to che gli amer­i­cani sareb­bero arrivati presto e che la nos­tra avven­tu­ra non sarebbe sta­ta altro che una sor­ta di vacan­za un po’ avven­tur­osa. Il 2 luglio era già tra i mor­ti mas­sacrati al Colle del Lys».

Quel­lo del 2 luglio, pros­egue Kiro, «è sta­to uno “spet­ta­co­lo” rac­capric­ciante. Dopo il ras­trel­la­men­to siamo sta­ti avvisati dei con­ta­di­ni che su al Colle c’era sta­to un mas­sacro, e quan­do siamo arrivati sul pos­to, dopo quat­tro giorni di piog­gia e tem­po­rali, abbi­amo trova­to i cadu­ti nel fan­go mis­chi­a­to con il sangue, con gli occhi sbar­rati… Una visione ter­ri­bile, che ha intimid­i­to molti spin­gen­doli a sval­lare e a tornare a casa o a fare altre scelte, finen­do mag­a­ri a com­bat­tere nel Canavesano o nel Pia­centi­no. Un grup­po un po’ più con­sapev­ole, se si può definire così, si è riti­ra­to invece a “Non si vede”, una specie di buco nel­la mon­tagna tra le roc­ce del Monte Rog­noso, che deve il suo nome al fat­to che è pri­vo di veg­e­tazione. Noi erava­mo in una venti­na, tra i quali c’er­a­no anche i cre­mone­si Deo Tonani e Ser­gio Rapuzzi, e stava­mo nascosti sot­to una cupo­la di sas­si. Pri­ma anco­ra di dis­cuterne in col­let­ti­vo, ognuno di noi, dopo il dram­ma del 2 luglio, ha fat­to una mat­u­razione. Ci siamo resi con­to che non si pote­va pian­gere e mugugnare soltan­to, e in ognuno di noi è nata la volon­tà di con­tin­uare la battaglia con più forza, per­ché un mon­do del genere dove­va per forza cam­biare. Non era accetta­bile che in Italia e nel mon­do ci fos­sero uomi­ni che com­mettessero stra­gi di ques­ta natu­ra, fat­te nel modo in cui le han­no fat­te, su ragazzi di 18–20 anni, tut­ti in borgh­ese, dis­ar­mati e imber­bi. Li avreb­bero potu­ti cat­turare, riman­dare a casa o imp­ri­gionarli. E invece li han­no let­teral­mente mas­sacrati, come si mas­sacra un vitel­lo. Da lì è nata la nos­tra volon­tà di con­tin­uare la battaglia, con­vin­ti, però, che a casa non sarebbe tor­na­to più nes­suno di noi. E infat­ti ci furono altri mor­ti, altri scon­tri, fino all’uc­ci­sione di Deo Tonani, il 30 mar­zo del 1945. Io, almeno, ero con­vin­to che sarem­mo mor­ti tut­ti, e sarebbe fini­ta davvero così se non fos­si­mo sta­ti aiu­tati dai mon­ta­nari, dai con­ta­di­ni, dai preti e dagli abi­tan­ti del­la zona. Quel­la, infat­ti, è una valle vas­ta, che dal pun­to di vista strate­gi­co era molto impor­tante per i tedeschi, per­ché pote­vano uti­liz­zarla per riti­rar­si even­tual­mente dal fronte francese, e quin­di la vol­e­vano lib­era, per poter­ci tran­sitare sen­za prob­le­mi».

«Il sostegno della gente fu fondamentale»

Nonos­tante la dram­matic­ità degli even­ti, però, quel ras­trel­la­men­to ha anche fat­to scattare una mol­la in chi ave­va scel­to di imboc­care sen­za indu­gi il tun­nel del­la Resisten­za, pur sapen­do di rischiare di fare una brut­ta fine. «È sta­to un momen­to molto dif­fi­cile — con­fer­ma Kiro — ma anche di ulte­ri­ore mat­u­razione, che ci ha por­ta­to a fare delle scelte impor­tan­ti per orga­niz­zarci meglio, a par­tire dai rap­por­ti con la gente del pos­to. Abbi­amo capi­to, per esem­pio, che per fare in modo che la popo­lazione si schierasse dal­la nos­tra parte non dove­va­mo più andare a pren­dere le galline dai con­ta­di­ni, ma pren­dere il bes­ti­ame per ali­menta­r­ci dal­la man­dria del re. In un pri­mo momen­to, infat­ti, i con­ta­di­ni ci vede­vano male, era­no molto sul chi va là. Era un atteggia­men­to com­pren­si­bile, per­ché vive­vano iso­lati dal resto del mon­do e non sape­vano molto dei tedeschi, dell’8 set­tem­bre e del­la fuga del re. Non si ren­de­vano con­to che noi erava­mo dei volon­tari, prob­a­bil­mente anco­ra imma­turi. Per loro noi erava­mo solo degli sconosciu­ti, degli sban­dati, che cos­ti­tu­iv­ano un moti­vo di dis­tur­bo e di pre­oc­cu­pazione. Per capo­vol­gere ques­ta ten­den­za, quin­di, abbi­amo dovu­to rin­un­cia­re a quelle azioni che le prime bande era­no costrette a fare, per­ché non ave­vano altro modo per sfamar­si e soprav­vi­vere, finen­do prob­a­bil­mente per com­met­tere anche azioni vio­lente. Noi, invece, abbi­amo com­pre­so che era fon­da­men­tale portare dal­la nos­tra parte i par­ro­ci, i con­ta­di­ni, gli operai, gli stu­den­ti, gli sfol­lati… In caso con­trario, infat­ti, si sareb­bero potu­ti trasfor­mare in spie e nemi­ci. La pre­pon­der­an­za del­l’avver­sario era tale che in quel caso, per noi, sarebbe sta­ta cer­ta­mente la fine».

Così, attra­ver­so il grup­po del­l’in­ten­den­za, for­ma­to da par­ti­giani ma anche da com­mer­cianti e rap­p­re­sen­tan­ti che ave­vano le conoscen­ze giuste, i par­ti­giani sono rius­ci­ti a creare le con­dizioni per fare in modo di procu­rar­si il cibo e il mate­ri­ale di cui ave­va­mo bisog­no sen­za dan­neg­gia­re la popo­lazione locale. «Il riso, per esem­pio, si anda­va a pren­dere al con­sorzio agrario di Ver­cel­li, i vesti­ti invece al lin­ifi­cio canapi­fi­cio nazionale di San­t’Am­bro­gio di Susa. Allo stes­so tem­po, abbi­amo anche com­in­ci­a­to a svol­gere un’­opera di ammin­is­trazione e medi­azione sul ter­ri­to­rio, diri­men­do per esem­pio le verten­ze che sorgevano tra i con­ta­di­ni, per una car­ta che man­ca­va o per un pez­zo di ter­ra involon­tari­a­mente occu­pa­to dal vici­no. In quel­la situ­azione così par­ti­co­lare, dif­fi­cile, ma anche ric­ca di gran­di poten­zial­ità, den­tro di noi si sono risveg­li­ate delle volon­tà sopite, delle capac­ità impre­viste, delle intel­li­gen­ze offus­cate, e gra­zie a questo lavoro dal bas­so siamo rius­ci­ti a guadag­nar­ci la fidu­cia e l’am­i­cizia del­la gente, fino a met­tere insieme una forte for­mazione con 800 orga­niz­za­ti, sud­di­visi in decine di dis­tac­ca­men­ti».

Kiro ricor­da in par­ti­co­lare la grossa azione del 18 agos­to 1944 all’Aero­nau­ti­ca mil­itare di cor­so Fran­cia, a Tori­no. Era una fab­bri­ca che pro­duce­va armi e aerei per i tedeschi, e i par­ti­giani, sce­si in 170 a ven­taglio dal­la mon­tagna, si impos­ses­sarono di 180 mitragliere. «Gli amer­i­cani e gli ingle­si vol­e­vano bom­bar­dar­la e annullar­la, invece la nos­tra azione l’ha sal­va­ta e la sua pro­duzione si è riv­e­la­ta utile anche al movi­men­to di lib­er­azione». Per Kiro, comunque, il ras­trel­la­men­to del 2 luglio 1944 sig­nifi­ca anche «l’im­peg­no di restare fedele alle mor­ti di quei gio­vani, molti dei quali era­no miei ami­ci. Come Fran­co Scala, che ave­va fat­to il servizio mil­itare con me a Casal­but­tano, nel mio stes­so dis­tac­ca­men­to. Ricor­do che all’ar­ri­vo in mon­tagna si era sposato da poco più di un mese, e lassù ricor­da­va con nos­tal­gia la moglie. Anche lui era una per­sona nor­male, paci­fi­ca come me, con il deside­rio di far­si una famiglia e vivere ser­e­na­mente, ma la bar­barie ave­va risveg­lia­to in noi il sen­so del dovere di lib­er­ar­si al più presto di ques­ta ciur­maglia di gente».

«Dopo la liberazione la Resistenza è stata demonizzata»

Res­ta però il sospet­to che dopo più di mez­zo sec­o­lo cer­i­monie e com­mem­o­razioni non siano suf­fi­ci­en­ti per tenere vivo il ricor­do e scon­giu­rare le ten­tazioni di revi­sion­is­mo. «Io, però, le vivo anco­ra con entu­si­as­mo — repli­ca Kiro — per­ché queste inizia­tive mi ricor­dano una fase del­la mia vita dif­fi­cile, brut­ta e peri­colosa, vis­su­ta però con un sen­so di fra­ter­nità, di sol­i­da­ri­età, di conoscen­za e di aiu­to rec­i­pro­co. La deci­sione di ritrovar­ci ogni anno al Colle del Lys l’ab­bi­amo pre­sa in una ser­a­ta di novem­bre del 1944 che ricor­do anco­ra molto bene, ed è un impeg­no che abbi­amo man­tenu­to tut­ti gli anni e che adesso si ripete in ter­mi­ni molto più ampi, con il coin­vol­gi­men­to di Comu­ni, asso­ci­azioni sportive, ricre­ative e cul­tur­ali. Lo scopo di ques­ta battaglia resisten­ziale, il suo fine, era quel­lo di lib­er­are l’I­talia dai tedeschi e dai fascisti, e ci siamo rius­ci­ti. Il mio ram­mari­co, però, è che dopo la lib­er­azione, anziché far tesoro di ques­ta espe­rien­za per creare un mon­do sen­za guerre e più gius­to, facen­done moti­vo di comu­ni­cazione e di cul­tura, anche attra­ver­so il coin­vol­gi­men­to delle scuole, la Resisten­za è sta­ta demo­niz­za­ta. Par­ti­giano vol­e­va dire comu­nista, assas­si­no, ladro. A mio avvi­so anche la nos­tra parte polit­i­ca, la sin­is­tra in gen­erale, su questo pun­to non ha reag­i­to in modo adegua­to. For­tu­nata­mente il filo diret­to tra Togli­at­ti, De Gasperi e Nen­ni ha garan­ti­to una capac­ità di unità anche dopo il 1947, per­ché l’at­ten­ta­to a Togli­at­ti del 1948 non ave­va altro scopo che quel­lo di esacer­bare i rap­por­ti, per con­sen­tire agli amer­i­cani di instau­rare anche in Italia, come in Gre­cia, un regime dei colon­nel­li. L’on­da di oscu­rità, ombre, den­i­grazioni e dub­bi soll­e­vati allo­ra sul­la Resisten­za, però, si è per­pet­u­a­ta fino a oggi, anche se l’im­peg­no di pres­i­den­ti come Per­ti­ni e Scal­faro ha provo­ca­to un cer­to risveg­lio. Lo stes­so Ciampi ha det­to chiara­mente che il 25 aprile, il 1 mag­gio e il 2 giug­no devono essere pun­ti fer­mi del­la vita demo­c­ra­t­i­ca ital­iana».

Arti­co­lo pub­bli­ca­to il 16 luglio 2005 sul Pic­co­lo Gior­nale di Cre­mona

Arti­co­lo pub­bli­ca­to anche su Medi­um

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