In settimana ho sfogliato, con un misto di invidia e curiosità, il documento della Regione Lombardia che contiene i dati Irpef complessivi relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2003 dei consiglieri regionali eletti nell’ultima legislatura.
In un primo momento non ho colto quale potesse essere l’utilità di questo genere di informazioni, al di là delle solite, scontate classifiche che in questo caso, per esempio, ci permettono di dire, in chiave cremonese, che il forzista Rossoni, forte dei suoi 190mila euro e rotti, impone al diessino Pizzetti un distacco di circa 77mila euro. Aria fritta, insomma, che al massimo può servire ai lettori come pretesto per spettegolare un po’.
Eppure, attraverso un’analisi meno frettolosa, partendo dai redditi comunicati dalla Regione è possibile azzardare qualche considerazione sullo stato della politica nel nostro Paese o, almeno, in Lombardia. È un azzardo che espone all’accusa di populismo, perché la critica ai privilegi veri o presunti della classe politica in Italia è sport assai diffuso e talvolta opportunista, ma scorrendo la lista dei redditi dei nostri (ex) consiglieri si colgono alcuni segnali che possono aiutare a spiegare il distacco che spesso si avverte tra le esigenze dei rappresentati — la maggioranza dei cittadini — e i loro rappresentanti nelle istituzioni.
Dall’elenco della Regione emerge, per esempio, che quasi tutti i consiglieri, salvo una manciata di eccezioni, possono contare su un reddito annuo superiore ai centomila euro. Le conclusioni sono due: la politica, in uno scenario complessivo di recessione (o stagnazione), è rimasta una delle poche carriere remunerative, e allo stesso tempo si sta trasformando in un feudo più o meno esclusivo per chi è già ricco di suo.
Questo dato, in apparenza banale, aiuta anche a spiegare perché in molti casi l’agenda delle istituzioni non coincida con i bisogni e le aspettative dei cittadini. Fermo restando che molti esponenti politici ricoprono i loro incarichi con ammirevole spirito di servizio e abnegazione, è chiaro, infatti, che chi guadagna centomila e più euro all’anno tenderà inevitabilmente ad avere una visione del mondo più rosea — e priorità diverse — rispetto a chi ne guadagna meno di 20mila.
L’elenco stilato dalla Regione restituisce anche un minimo di razionalità alle dichiarazioni di Berlusconi, che nei giorni scorsi, replicando all’Economist, ha descritto l’Italia come «un Paese ricco e benestante». Evidentemente il premier si riferiva agli italiani che frequenta di più: i politici, appunto.
Editoriale pubblicato il 4 giugno 2005 sul Piccolo Giornale di Cremona
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