in Guerra e pace

L’han­no già fat­to in tan­tis­si­mi nel cor­so del­l’ul­ti­ma set­ti­mana, ma anche noi vogliamo ren­dere omag­gio a Nico­la Cali­pari, mor­to in Iraq per sal­vare la vita a Giu­liana Sgrena. Mor­to da eroe, ver­rebbe da aggiun­gere, se non fos­se che negli ulti­mi mesi l’ero­is­mo è sta­to tira­to in bal­lo tal­mente tante volte dal­la pro­pa­gan­da di regime, al pari di parole come pace, patria, democrazia e lib­ertà, da risultare ormai svuo­ta­to di ogni sig­ni­fi­ca­to.

Eroe o meno che fos­se, comunque, Cali­pari è mor­to, e poco impor­ta che si sia trat­ta­to di un aggua­to o di un inci­dente, così come è evi­dente che l’inchi­es­ta che dovrà accertare cosa è suc­ces­so davvero quel maledet­to ven­erdì non servirà a resus­ci­tar­lo. In teo­ria dovrebbe almeno servire a fare gius­tizia, ma sul­la scor­ta del­l’es­pe­rien­za recente c’è da essere scetti­ci.

Come inseg­na lo scan­da­lo delle tor­ture nel carcere di Abu Ghraib, infat­ti, se qual­cuno finirà davvero davan­ti alla corte marziale del­l’e­serci­to Usa, ed è lecito dubitarne, sarà sicu­ra­mente qualche pesce pic­co­lo. Un capro espi­a­to­rio qual­si­asi, insom­ma, per far gon­fi­are un po’ il pet­to allo scod­in­zolante alleato ital­io­ta.

Il sac­ri­fi­cio di Nico­la Cali­pari, manda­to al cre­atore da una raf­fi­ca di fuo­co “ami­co”, che però uccide tan­to quan­to quel­lo nemi­co, dovrebbe almeno essere servi­to a spaz­zare via una vol­ta per tutte l’ipocrisia di chi negli ulti­mi mesi, a dis­pet­to del­l’ev­i­den­za dram­mat­i­ca delle cose, ha con­tin­u­a­to impune­mente a rac­con­tare la favola di un Iraq paci­fi­ca­to e avvi­a­to a gran­di pas­si ver­so la democrazia com­pi­u­ta.

Perfi­no l’onorev­ole forzista Rena­to Schi­fani, uno dei più orto­dos­si inter­preti del ver­bo berlus­co­ni­ano, per gius­ti­fi­care il «banale inci­dente» (la definizione è sua) occor­so a Cali­pari ha fini­to per tirare in bal­lo le dif­fi­coltà e lo stress con cui devono fare i con­ti i sol­dati imp­ie­gati nel «teatro di guer­ra» (la definizione è sem­pre sua).

Una guer­ra par­ti­co­lar­mente bru­tale, in effet­ti, in cui alle teste moz­zate dai ter­ror­isti o resisten­ti, scegli­ete pure la definizione che preferite, si som­mano i cadu­ti del fuo­co “ami­co” a stelle e strisce. È suf­fi­ciente ripas­sare le cronache degli ulti­mi mesi, infat­ti, per ren­der­si con­to che di Cali­pari iracheni fino­ra ne sono mor­ti parec­chi, vit­time anche loro del gril­let­to facile di sol­dati alle prese con lo stress del «teatro di guer­ra» (Schi­fani dix­it). Il guaio è che, adesso che anche Giu­liana Sgrena non è più in Iraq, sarà anco­ra più dif­fi­cile venire a conoscen­za delle loro sto­rie.

Edi­to­ri­ale pub­bli­ca­to il 12 mar­zo 2005 sul Pic­co­lo Gior­nale di Cre­mona

Arti­co­lo pub­bli­ca­to anche su Medi­um

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