in Giornalismo, Guerra e pace

Caro Piron­di­ni, ho deciso di scriver­le ques­ta let­tera aper­ta dopo aver let­to il ser­mone domeni­cale che ha ded­i­ca­to alla man­i­fes­tazione orga­niz­za­ta a Roma per Giu­liana Sgrena. Le con­fes­so che mi capi­ta (qua­si) sem­pre di trovar­mi in dis­ac­cor­do con lei. In questo caso, però, ho avver­ti­to anche il dovere civi­co di rispon­der­le.

Evi­den­te­mente per una per­sona come lei, trop­po abit­u­a­ta ad alzare le ter­ga dal­la poltrona diret­to­ri­ale solo per parte­ci­pare a inizia­tive che preve­dono la pre­sen­za di vip e/o di un buf­fet otti­mo e abbon­dante, è dif­fi­cile com­pren­dere le ragioni che spin­gono mez­zo mil­ione di per­sone a scen­dere in piaz­za per chiedere la lib­er­azione di una don­na rapi­ta, sen­za nem­meno la ricom­pen­sa di uno strac­cio di pani­no.

L’in­ca­pac­ità di capire questo genere di com­por­ta­men­ti avrebbe almeno dovu­to sug­gerir­le di imboc­care, per ques­ta vol­ta, la stra­da del­la mod­er­azione o, meglio, del silen­zio. Anche in questo caso, invece, non ha per­so l’oc­ca­sione per dedi­car­si ai suoi sport predilet­ti: il dileg­gio e lo sch­er­no.

Dirle di ver­gog­nar­si, come ha già fat­to un suo let­tore, sarebbe però inutile, per­ché è chiaro che la ver­gogna non rien­tra nel bagaglio sen­ti­men­tale di chi arri­va al pun­to di coin­vol­gere nelle sue dis­cettazioni da stra­paese il padre di una don­na rapi­ta, che fin dal­l’inizio ha dato pro­va di grande dig­nità, sen­za las­cia­r­si trascinare nelle con­suete polemiche tra i par­ti­ti.

La doman­da sorge spon­tanea: ma chi gliel’ha fat­to fare? Dan­do per scon­ta­to che il suo edi­tore non perderebbe il son­no se i suoi ser­moni per incan­to dovessero sparire dalle pagine del quo­tid­i­ano che dirige, ho il sospet­to che dietro alla sua mania di coniare espres­sioni den­i­gra­to­rie per i mal­cap­i­tati di turno si nascon­da la frus­trazione del­lo scrit­tore man­ca­to.

La con­fer­ma me l’ha data lei stes­so, quan­do ha spie­ga­to che l’in­vi­to ad andare «a sco­pare il mare» che ha riv­olto a chi ha man­i­fes­ta­to nel­la cap­i­tale era, in realtà, «una licen­za let­ter­aria». Se accetta un con­siglio, oltre a scervel­lar­si per par­torire espres­sioni come quel­la o nomigno­li alla «pan­te­gane livi­dose» (vedi ser­mone sul museo del cal­cio), potrebbe raf­finare le sue doti let­ter­arie cer­can­do, almeno una vol­ta, di las­ciar da parte il dileg­gio a van­tag­gio delle argo­men­tazioni razion­ali.

Nes­suno vuole negar­le la lib­ertà di esprimere le sue opin­ioni, ci mancherebbe. Solo che lei, in quan­to respon­s­abile del più dif­fu­so quo­tid­i­ano cre­monese, in realtà è più libero di esprimer­si degli altri. Epperò, parafrasan­do il mot­to di un noto supereroe, a gran­di lib­ertà cor­rispon­dono gran­di respon­s­abil­ità. Quel­la, per esem­pio, di non pub­bli­care let­tere che tra­su­dano razz­is­mo o fas­cis­mo da ogni riga sen­za deg­narle nem­meno di un com­men­to (neg­a­ti­vo, si spera).

Se lei, come ha scrit­to, è sta­to scos­so da «ter­ri­bili bri­v­i­di» veden­do «la bel­la piaz­za romana trasfor­ma­ta in un suk del Mar Rosso» (è sicuro di non aver con­fu­so La7 con Dis­cov­ery Chan­nel?), le assi­curo, infat­ti, che ulti­ma­mente ho trema­to più volte anch’io sfoglian­do la pag­i­na delle let­tere del suo gior­nale.

Cor­dial­mente, Simone Ramel­la

Edi­to­ri­ale pub­bli­ca­to il 26 feb­braio 2005 sul Pic­co­lo Gior­nale di Cre­mona

Arti­co­lo pub­bli­ca­to anche su Medi­um

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