Per il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, il 2005 finora è stato avaro di soddisfazioni. Prima Berlusconi e la Lega gli hanno messo i bastoni tra le ruote, bocciando la sua “lista del presidente”, che aveva già cominciato a pubblicizzare attraverso l’affissione di maxi-cartelloni senza simboli di partito. Poi il Sole 24 Ore e il Financial Times, con la pubblicazione di nuove rivelazioni sul suo presunto coinvolgimento nello scandalo “Oil for food”, una torbida storia che ruota attorno all’ex regime iracheno di Saddam Hussein e al suo petrolio, hanno definitivamente rovinato l’umore del governatore e, soprattutto, rimesso in discussione la sua riconferma alla guida del Pirellone per il terzo mandato consecutivo, che fino a qualche settimana fa sembrava arcisicura.
A caldo Formigoni ha liquidato l’inchiesta del quotidiano come «la solita minestra riscaldata», ma nel corso di una conferenza stampa convocata giovedì è andato oltre, ipotizzando l’esistenza di un vero e proprio complotto ordito ai suoi danni, e accusando la sinistra e Confindustria, proprietaria del Sole 24 Ore, di essere i «mandanti dell’attacco», con l’intento di condizionare l’esito delle prossime elezioni regionali.
«Non ho preso né una goccia di petrolio né un centesimo di denaro», ha spiegato il presidente della Lombardia. La vera notizia del giorno è proprio questa: dopo aver passato più di un anno a evitare sistematicamente di affrontare l’argomento “Oil for food”, a meno di due mesi dalle elezioni regionali Formigoni ha finalmente rotto il suo silenzio. Lo ha fatto, però, con l’atteggiamento tipico di chi ha la coda di paglia, tirando in ballo teorie cospirative che non reggono a un’analisi obiettiva di quanto è accaduto negli ultimi 12 mesi. Se lo scandalo del petrolio iracheno lo travolge a poche settimane dal voto, infatti, la colpa è soprattutto sua.
Anche se la notizia è stata snobbata a lungo o relegata in piccoli trafiletti, il Sole 24 Ore e i settimanali Diario e L’Espresso avevano già dedicato mesi fa alcuni approfonditi reportage al presunto coinvolgimento di Formigoni nello scandalo del programma “Oil for food”. Sul Piccolo di sabato 8 gennaio, una settimana prima della visita del governatore a Cremona, in un articolo ripreso il 20 gennaio dal settimanale Carta anche noi avevamo sollevato di nuovo la questione, sottolineando che le indagini della commissione indipendente varata dall’Onu nell’aprile dello scorso anno rischiavano di rannuvolare il cielo elettorale formigoniano e richiamando il presidente della Lombardia al dovere di fare chiarezza una volta per tutte sul suo coinvolgimento nella vicenda.
Non ci illudevamo di riuscire davvero a ottenere una risposta da Formigoni, visto che prima di noi non c’erano riusciti né il Sole 24 Ore, né Diario, né L’Espresso, e neppure i consiglieri regionali Ds, che in ottobre avevano presentato una mozione in questo senso, puntualmente bocciata dalla maggioranza. Con la nostra presa di posizione, però, volevamo richiamare l’attenzione dei nostri lettori sulla gravità del comportamento del presidente della Lombardia, che di fronte a sospetti pesantissimi, che in altri Paesi più civili del nostro sarebbero più che sufficienti per costringere alle dimissioni qualsiasi rappresentante delle istituzioni, per un anno intero si è limitato a replicare per monosillabi, bollando il tutto come «spazzatura» o come «un complotto della Cia», senza aggiungere una virgola di più.
Può darsi, insomma, che Formigoni sia davvero estraneo a tutta la vicenda, come si affanna a sostenere in questi giorni, ma resta il fatto che l’atteggiamento che ha tenuto negli ultimi mesi non è compatibile con la carica pubblica che ricopre. E resta il sospetto, avvalorato dall’accurata inchiesta realizzata da Claudio Gatti per Sole 24 Ore e Financial Times, che il presidente della Lombardia possa avere beneficiato davvero del traffico illegale di greggio che il deposto regime di Saddam aveva messo in piedi sfruttando le maglie larghe di “Oil for food”, il programma “petrolio in cambio di cibo”, varato dalle Nazioni Unite per alleviare gli effetti dell’embargo imposto all’Iraq dagli Stati Uniti al termine della prima guerra del Golfo del 1991.
Stando alle conclusioni cui è giunto l’Iraq Survey Group, guidato dall’ex ispettore Onu Charles Duelfer, i ricavi della vendita del petrolio, che avrebbero dovuto essere destinati all’acquisto di medicinali e alimenti per la popolazione irachena, finivano invece nelle tasche di Saddam e dei suoi colonnelli, compreso Tareq Aziz, braccio destro del raìs nonché amico di Formigoni. E il regime, a sua volta, ricompensava i propri “amici” all’estero con l’assegnazione di barili di petrolio. Il governatore lombardo ne avrebbe ricevuti circa 24 milioni.
La procura della Repubblica di Milano, in una nota firmata da Manlio Minale, giovedì scorso ha precisato che «il presidente della Regione Lombardia non è iscritto nel registro degli indagati» per i traffici illeciti avvenuti in Iraq durante l’embargo. Tra gli indagati, in compenso, figurerebbero i due titolari della Cogep, piccola srl che avrebbe commercializzato il greggio elargito a Formigoni dal regime iracheno, e soprattutto Marco Mazarino De Petro, al quale il presidente della Lombardia aveva affidato il compito di tenere i rapporti internazionali con vari Paesi, compreso l’Iraq. La «minestra riscaldata», insomma, rischia di andare di traverso a Formigoni.
Articolo pubblicato il 12 febbraio 2005 sul Piccolo Giornale di Cremona
Articolo pubblicato anche su Medium