in Guerra e pace, Politica

Nei pri­mi mesi del 2003, men­tre gli Sta­ti Uni­ti si accingevano a scatenare l’of­fen­si­va mil­itare con­tro l’I­raq, i guer­ra­fondai nos­trani, trav­es­ti­ti da “inter­ven­tisti uman­i­tari”, non perde­vano occa­sione per bol­lare come scioc­chi sog­na­tori quan­ti (tan­ti) si osti­na­vano a oppor­si alla guer­ra, “sen­za se e sen­za ma”.

Dec­linare la prat­i­ca del paci­fis­mo esclu­si­va­mente al neg­a­ti­vo, come “sem­plice” oppo­sizione all’u­so delle armi per risol­vere i con­flit­ti, può in effet­ti riv­e­lar­si un lim­ite che porge il fian­co al cin­is­mo dei pres­ti­gia­tori del­la dis­in­for­mazione. Le cronache di queste ultime set­ti­mane, però, ci regalano un esem­pio che dimostra la con­cretez­za niente affat­to utopi­ca in cui può tradur­si la filosofia paci­fista.

L’e­sem­pio è quel­lo del­la Cina, cui il pres­i­dente Ciampi ha di recente assi­cu­ra­to che l’I­talia aus­pi­ca l’ab­o­lizione del­l’em­bar­go sulle armi, attua­to nei suoi con­fron­ti nel 1989, dopo la san­guinosa repres­sione di piaz­za Tien­an­men.

Il paci­fis­mo, oltre al rifi­u­to tout court del­la guer­ra, impone anche una coeren­za di com­por­ta­men­ti volti a creare le con­dizioni che ren­dano inutile il ricor­so alle armi, pre­tenden­do dalle nos­tre isti­tuzioni, dalle nos­tre indus­trie, dai nos­tri concit­ta­di­ni e anche da noi stes­si la mes­sa in prat­i­ca dei val­ori di lib­ertà, gius­tizia, uguaglian­za e democrazia di cui ci van­ti­amo di essere fau­tori.

Oppor­si alla revo­ca del­l’em­bar­go alla Cina, anche se ciò può com­portare un dan­no eco­nom­i­co al nos­tro Paese, è dunque un atto paci­fista e molto con­cre­to. Altro che utopia.

Edi­to­ri­ale pub­bli­ca­to il 18 dicem­bre 2004 sul Pic­co­lo Gior­nale di Cre­mona

Arti­co­lo pub­bli­ca­to anche su Medi­um

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