«La sanità costa troppo. O si trova un sistema per ridurre le spese o va tutto a rotoli. Ne parlerò con Berlusconi». In un Paese governato da più di tre anni dal centrodestra una frase del genere passerebbe normalmente inosservata. Fa un certo scalpore, invece, perché a pronunciarla, una settimana fa, è stato il leader della Lega, Umberto Bossi, reduce da otto lunghi mesi trascorsi lontano dalla politica, sballottato tra cliniche e ospedali.
Chi si aspettava che il dramma della malattia smussasse un po’ le spigolosità del carattere del Senatùr è rimasto ancora una volta spiazzato. Bossi è entrato in ospedale con in testa la devolution e ne è uscito più berlusconiano che mai proprio grazie alla devolution, di cui il presidente del Consiglio gli ha fatto dono. I tempi del “Berluskaiser” sono ormai trapassato remoto, oggi Umberto stima Silvio «come uomo e come premier».
Le effusioni indirizzate al leader di Forza Italia cozzano un po’ con la durezza della richiesta di tagli alla sanità, magari per finanziare l’ossessione berlusconiana delle tre aliquote fiscali, ma a ben vedere il comportamento di Bossi è in linea con quello del suo alleato preferito, che tende a ritenere superfluo ciò di cui non ha bisogno. Il Senatùr vuole la devolution, Berlusconi il taglio delle tasse. Così la sanità diventa un dettaglio superfluo per chi può permettersi in qualsiasi momento il ricovero in una clinica svizzera.
Editoriale pubblicato il 27 novembre 2004 sul Piccolo Giornale di Cremona
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