in Ambiente, Diritti

«Per molti anni i gov­erni han­no cre­du­to che la for­ni­tu­ra di acqua pota­bile e lo smal­ti­men­to in sicurez­za delle acque reflue fos­sero ques­tioni trop­po impor­tan­ti per essere las­ci­ate al busi­ness. Oggi sap­pi­amo che non è così. La nos­tra azien­da ha già dimostra­to che risorse notevoli, appli­cate con pro­fes­sion­al­ità da imp­rese pri­vate coscien­ziose, pos­sono togliere dalle spalle dei gov­erni un fardel­lo notev­ole e trasfor­mare così le vite dei cit­ta­di­ni».

Il mes­sag­gio che accoglie gli inter­nau­ti, sul sito del­la Inter­na­tion­al Water Lim­it­ed, stride con il caso del­la Bolivia, dove l’aper­tu­ra ai pri­vati del mer­ca­to del­l’ac­qua, decisa dal gov­er­no alla fine del 1999, per alcu­ni mesi trasfor­mò per davvero le vite degli abi­tan­ti del­la cit­tà di Cochabam­ba. In peg­gio, però, vis­to che le bol­lette per la for­ni­tu­ra idri­ca subirono in un bre­vis­si­mo arco di tem­po aumen­ti in molti casi supe­ri­ori al cen­to per cen­to. Pro­tag­o­nista neg­a­ti­va di ques­ta vicen­da, la soci­età Aguas del Tunari, un con­sorzio con­trol­la­to dalle più impor­tan­ti imp­rese mon­di­ali del busi­ness del­l’ac­qua (il 50 per cen­to delle azioni appar­tiene, infat­ti, pro­prio alla Inter­na­tion­al Water Lim­it­ed, che a sua vol­ta è di pro­pri­età del­la statu­nitense Bech­tel e del­la “nos­tra” Edi­son), cui il gov­er­no boli­viano, su istigazione del­la Ban­ca mon­di­ale, ave­va affida­to il con­trol­lo del­la Sema­pa, l’azien­da munic­i­pale di Cochabam­ba che ges­ti­va la for­ni­tu­ra del­l’ac­qua.

Manuel de la Fuente, pro­fes­sore di econo­mia all’u­ni­ver­sità di Cochabam­ba, di recente in Italia per parte­ci­pare alle gior­nate inter­nazion­ali sul­l’ac­qua orga­niz­zate a Peru­gia dal­l’U­ni­ver­sità del bene comune, ha ricorda­to come, all’inizio del 2000, l’azione con­giun­ta di sin­da­cati, ordi­ni pro­fes­sion­ali, asso­ci­azioni di quartiere, con­ta­di­ni e operai, rag­grup­pati nel­la Coor­di­nado­ra en defen­sa del agua y de la vida, abbia costret­to il gov­er­no boli­viano a fare mar­cia indi­etro e a rin­un­cia­re ai suoi piani di pri­va­tiz­zazione. L’al­lon­tana­men­to dal paese del­la Aguas del Tunari ha rap­p­re­sen­ta­to però solo il pri­mo episo­dio di una lot­ta di resisten­za che è anco­ra lon­tana dal con­clud­er­si.

A par­tire dal­la metà degli anni ottan­ta, la Bolivia, incalza­ta dal­la Ban­ca mon­di­ale e dal Fon­do mon­e­tario inter­nazionale, ha pri­va­tiz­za­to molti set­tori, dalle fer­rovie al petro­lio. Nel caso del­l’ac­qua, però, la mobil­i­tazione del­la soci­età civile è rius­ci­ta a bloc­care questo proces­so. Come è sta­to pos­si­bile?
Ai tem­pi degli Inca, pri­ma del­la col­o­niz­zazione spag­no­la, l’ac­qua era con­sid­er­a­ta un dono del­la pachama­ma, la madreter­ra, e di Vira­cocha, il dio sole. La civ­i­liz­zazione degli Inca ave­va real­iz­za­to opere in gra­do di con­vogliare le acque dei ghi­ac­ciai delle Ande in ogni ango­lo del­l’im­pero. Il sis­tema di ges­tione del­l’ac­qua si basa­va sul lavoro comune, la cosid­det­ta mit­ta: ogni comu­nità dove­va con­tribuire, a turno, alla costruzione e alla manuten­zione di tutte le opere e le attrez­za­ture idrauliche. In cam­bio, l’im­pero garan­ti­va a tut­ti l’ac­ces­so all’ac­qua, anche nelle regioni dove era pre­sente in quan­tità scarsa. La situ­azione è cam­bi­a­ta dras­ti­ca­mente dopo l’ar­ri­vo degli spag­no­li, che han­no pre­so il con­trol­lo di tutte le risorse del ter­ri­to­rio, ma il sis­tema del­la mit­ta è sopravvis­su­to in alcune aree del paese e, dopo la riv­o­luzione del 1952, l’ac­qua è tor­na­ta a essere gesti­ta come all’e­poca degli Inca. Per i con­ta­di­ni, dunque, è incon­cepi­bile che l’ac­qua pos­sa essere trasfor­ma­ta in una mer­ce. Per loro, oltre a essere una risor­sa preziosa, ha anche un impor­tante val­ore cul­tur­ale e sim­bol­i­co, e rap­p­re­sen­ta un ele­men­to di forte coe­sione per le sin­gole comu­nità.

Da dove deri­va la forza del­la Coor­di­nado­ra?
Si trat­ta di un’or­ga­niz­zazione molto oriz­zon­tale, che ha saputo mobil­itare il cap­i­tale sociale, il cap­i­tale comu­ni­tario che esiste in Bolivia, dan­do spazio alle opin­ioni di tut­ti.

Nonos­tante il dietro-front di tre anni fa, il gov­er­no non sem­bra però esser­si rasseg­na­to ad abban­donare defin­i­ti­va­mente i suoi piani…
È vero. Questo ris­chio è anco­ra pre­sente e restano molte ques­tioni da risol­vere pri­ma di con­sid­er­are la par­ti­ta davvero chiusa. Mi riferisco, per esem­pio, al prob­le­ma dei per­me­s­si che il gov­er­no vuole imporre ai con­ta­di­ni per i loro sis­te­mi di irrigazione, per­me­s­si che dovreb­bero essere rin­no­vati ogni due anni. I con­ta­di­ni, vicev­er­sa, chiedono che l’at­tuale sis­tema di ges­tione del­l’ac­qua ven­ga auto­mati­ca­mente riconosci­u­to dal­lo Sta­to a tem­po inde­ter­mi­na­to, sen­za sca­den­ze pre­fis­sate, per­ché non vogliono cor­rere il ris­chio che il gov­er­no pos­sa negare loro l’au­tor­iz­zazione. Un’al­tra ques­tione tut­to­ra aper­ta riguar­da l’or­gan­is­mo tec­ni­co cui il gov­er­no vor­rebbe affi­dare la super­vi­sione di tut­to il sis­tema idri­co del paese. I fun­zionari di questo organ­is­mo, i super­in­ten­den­cias, dovreb­bero seg­nalare even­tu­ali prob­le­mi legati alla ges­tione del­l’ac­qua e pro­porre soluzioni. I con­ta­di­ni però non si fidano, anche per­ché i fun­zionari gen­eral­mente rap­p­re­sen­tano soltan­to gli inter­es­si delle gran­di imp­rese e delle élites locali, e vogliono che questo com­pi­to di super­vi­sione ven­ga affida­to a un “con­siglio del­l’ac­qua” che com­pren­da, oltre al gov­er­no, anche le orga­niz­zazioni dei con­ta­di­ni e le altre espres­sioni del­la soci­età civile, in modo da favorire il dial­o­go e la medi­azione tra gli inter­es­si di tutte le par­ti coin­volte, oltre a garan­tire un cer­to con­trol­lo sociale sulle politiche del­lo Sta­to. Non bisogna poi dimen­ti­care la ques­tione del­l’e­s­portazione del­l’ac­qua, che il gov­er­no avrebbe volu­to vendere al Cile sen­za aver nep­pure val­u­ta­to quale potrebbe essere l’im­pat­to sui sis­te­mi di approvvi­gion­a­men­to delle popo­lazioni frontal­iere nel­la regione di Poto­si, una delle aree più povere del­la Bolivia. Anche in questo caso la protes­ta popo­lare si è riv­e­la­ta utile, per­ché ha spin­to il gov­er­no a riman­dare la deci­sione fino a quan­do non si conoscer­an­no i risul­tati di uno stu­dio sul­l’im­pat­to ambi­en­tale.

Tut­to bene, dunque?
In realtà l’in­ten­zione del gov­er­no res­ta quel­la di pri­va­tiz­zare l’ac­qua, di trasfor­mar­la in una mer­ce, per vendere i dirit­ti di sfrut­ta­men­to alle com­pag­nie minerarie e alle multi­nazion­ali. Per ora sta sem­plice­mente pren­den­do tem­po, con­fi­dan­do in un even­tuale inde­boli­men­to del fronte con­trario alla pri­va­tiz­zazione.

In questo con­testo, che ruo­lo può gio­care il movi­men­to transnazionale che si oppone alle politiche neoliberiste?
La sol­i­da­ri­età e il sosteg­no inter­nazionale ha già da tem­po un ruo­lo molto impor­tante per la lot­ta con­tro la pri­va­tiz­zazione del­l’ac­qua in Bolivia. Dopo la retro­mar­cia del gov­er­no boli­viano, la Aguas del Tunari, sot­to la direzione del­la Bech­tel, si è riv­ol­ta ai tri­bunali inter­nazion­ali per chiedere un ris­arci­men­to di 25 mil­ioni di dol­lari, che cor­rispon­dono ai prof­itti che, a suo dire, avrebbe real­iz­za­to se avesse con­tin­u­a­to a gestire l’ac­qua a Cochabam­ba. Per con­trastare ques­ta inizia­ti­va sono sta­ti creati quat­tro comi­tati. Uno in Bolivia, su inizia­ti­va del­la Coor­di­nado­ra, per fare pres­sione sul gov­er­no e con­vin­cer­lo a non scen­dere a pat­ti con la Bech­tel. Il sec­on­do comi­ta­to è sta­to for­ma­to con l’aiu­to dei sin­da­cati Usa a San Fran­cis­co, dove c’è il quarti­er gen­erale del­la Bech­tel, per spin­gere l’azien­da a rin­un­cia­re al ris­arci­men­to. Il ter­zo comi­ta­to è atti­vo a Wash­ing­ton, sede del Cen­tro inter­nazionale per la risoluzione delle con­tro­ver­sie in mate­ria di inves­ti­men­ti (Icsid), al quale si è riv­ol­ta la Aguas del Tunari, e il quar­to è in Olan­da.

Per­ché pro­prio in Olan­da?
Per­chè è lì che è sta­ta sposta­ta la sede legale del­la Aguas del Tunari, che inizial­mente si trova­va alle Isole Cay­man, noto par­adiso fis­cale. Il trasfer­i­men­to è avvenu­to pochi mesi dopo l’avvio delle attiv­ità del­la com­pag­nia a Cochabam­ba, e si spie­ga con il fat­to che tra Bolivia e Olan­da esiste un accor­do bilat­erale di pro­tezione degli inves­ti­men­ti. È sta­to pro­prio gra­zie a questo accor­do che la Bech­tel ha potu­to fare causa al gov­er­no boli­viano. Il comi­ta­to cer­ca dunque di influen­zare il gov­er­no olan­dese, affinché neghi il suo appog­gio alla Bech­tel, e lo fa sot­to­lin­e­an­do come l’aiu­to effet­ti­vo for­ni­to dal­l’Olan­da per la coop­er­azione e lo svilup­po in Bolivia non pos­sa coesistere con il sosteg­no a un’im­pre­sa come la Bech­tel.

A parte i 25 mil­ioni di dol­lari, qual è la vera pos­ta in gio­co di questo brac­cio di fer­ro?
Si trat­ta di evitare qual­si­asi pretesto per­ché il gov­er­no colom­biano pos­sa scen­dere a pat­ti e accor­dar­si con la Bech­tel, garan­ten­do per esem­pio all’azien­da una cor­sia pref­eren­ziale nel momen­to in cui il cli­ma sociale dovesse diventare meno ostile al prog­et­to di pri­va­tiz­zazione del­l’ac­qua. E bisogna fare in modo che la gente non per­da fidu­cia nel­la Coor­di­nado­ra, per­ché questo è pro­prio quel che si augu­ra­no il gov­er­no e le multi­nazion­ali. Non va poi dimen­ti­ca­to che la lot­ta con­tro la pri­va­tiz­zazione del­l’ac­qua è una lot­ta che coin­volge tut­ti i pae­si e tut­ti i popoli, non solo quel­lo colom­biano. Se noi vin­cer­e­mo, altri vin­cer­an­no. Ques­ta è una battaglia che dob­bi­amo com­bat­tere insieme.

Inter­vista pub­bli­ca­ta il 20 mar­zo 2003 sul­l’Al­manac­co del set­ti­manale Car­ta ded­i­ca­to alla guer­ra del­l’ac­qua

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