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Non è facile trovare per­sone le cui tappe fon­da­men­tali coin­ci­dono con momen­ti altret­tan­to cru­ciali del­la sto­ria del pro­prio Paese. Questo, però, è il caso del mae­stro Mario Lodi. Nato a Piade­na nel 1922, l’anno dell’ascesa del fas­cis­mo al potere in Italia, figlio di un social­ista che fu perse­gui­tato dal regime, come tut­ti i suoi coetanei subì sul­la pro­pria pelle i meto­di di una scuo­la che «era solo pro­pa­gan­da». E in quel­la scuo­la com­in­ciò, gio­vanis­si­mo, l’attività didat­ti­ca cui ha ded­i­ca­to tut­ta la sua vita.

Appe­na diplo­ma­to alle magis­trali, infat­ti, allo scop­pio del­la sec­on­da guer­ra mon­di­ale com­in­ciò a inseg­nare come sup­plente, per sos­ti­tuire gli inseg­nan­ti costret­ti a par­tire per il fronte. Alla fine toc­cò anche a lui nel 1943 vestire l’uniforme mil­itare, ma dopo l’8 set­tem­bre si rifi­utò di aderire alla Repub­bli­ca di Salò, finen­do nel miri­no dei fascisti locali. Accusato di un atto di sab­o­tag­gio ai dan­ni di un cantiere tedesco, finì pri­ma in carcere a Milano, poi a Cre­mona, e venne scarcer­a­to solo dopo la lib­er­azione, il 26 aprile del 1944.

Cadu­to il regime, Lodi nel 1948 entrò come inseg­nante di ruo­lo nel­la scuo­la pub­bli­ca: «Ero un po’ spaven­ta­to – rac­con­ta – La guer­ra si era appe­na con­clusa, ave­vo vis­su­to tut­ta la mia vita sot­to il fas­cis­mo, e per me, come per tan­ti altri, si apri­va un peri­o­do nuo­vo, in cui sco­pri­va­mo per la pri­ma vol­ta la democrazia e la lib­ertà. L’articolo 21 del­la Cos­ti­tuzione appe­na pro­mul­ga­ta, che garan­ti­va la lib­ertà di espres­sione a tut­ti i cit­ta­di­ni, met­te­va in dif­fi­coltà noi inseg­nan­ti. I bam­bi­ni, infat­ti, sono cit­ta­di­ni o no? Io pen­sa­vo di sì, ma all’epoca la scuo­la era anco­ra orga­niz­za­ta sec­on­do un mod­el­lo ver­ticis­ti­co, che non garan­ti­va agli stu­den­ti la lib­ertà di esprimer­si».

Fu allo­ra che Mario Lodi com­in­ciò a con­cepire un approc­cio rad­i­cal­mente diver­so all’educazione e diede vita insieme ad altri inseg­nan­ti al Movi­men­to di Coop­er­azione Educa­ti­va per elab­o­rare un prog­et­to di trasfor­mazione del­la scuo­la pub­bli­ca, che nasce­va dal­la volon­tà di inserire nel­la scuo­la pub­bli­ca ele­men­ti di democrazia vis­su­ta, non stu­di­a­ta soltan­to sui lib­ri. Da qui la scelta, per esem­pio, di adottare l’intuizione del ped­a­gogista francese Célestin Freinet, che ave­va teoriz­za­to l’introduzione del­la tipografia in ambito sco­las­ti­co, in modo da dare ai bam­bi­ni la pos­si­bil­ità di esprimere lib­era­mente le pro­prie idee in un gior­nale stam­pa­to e cor­ret­to diret­ta­mente da loro.

Ricor­dan­do l’esperienza del Movi­men­to di Coop­er­azione Educa­ti­va, Mario Lodi lo descrive come «un momen­to impor­tante all’interno del­la vec­chia scuo­la. Noi inseg­nan­ti lavo­rava­mo sul piano dell’intuizione, ma c’erano scien­ziati che con­fer­ma­vano che ave­va­mo vis­to gius­to. Dal momen­to del­la nasci­ta il bam­bi­no si for­ma con l’esperienza diret­ta, con­frontan­do i dati, le espe­rien­ze sen­so­ri­ali. Pri­ma dei tre anni attra­ver­so il gio­co sco­pre tan­tis­sime cose, come la forza di grav­ità, l’attrito, l’inerzia, il gal­leg­gia­men­to nell’acqua, e sco­pre anche diver­si lin­guag­gi. Il pri­mo è quel­lo del­la paro­la, poi c’è il seg­no, usato per rap­p­re­sentare il mon­do. Una buona scuo­la deve pren­derne atto, e fare di tut­to per aiutare i bam­bi­ni a svilup­pare queste capac­ità».

Esiste anche un ter­zo lin­guag­gio, quel­lo tele­vi­si­vo, che però si dif­feren­zia dagli altri per­ché «il bam­bi­no lo sco­pre ma non lo usa per comu­ni­care. Al con­trario, è lui a essere usato dal­la tele­vi­sione». Da qui la dif­fi­den­za del mae­stro Lodi nei con­fron­ti del pic­co­lo scher­mo. Dif­fi­den­za che non equiv­ale però a una chiusura totale. «Si trat­ta di capire – spie­ga – se anche la tele­vi­sione pos­sa essere uti­liz­za­ta dagli stu­den­ti come mez­zo di espres­sione».

A questo propos­i­to cita i casi di alcu­ni inseg­nan­ti che in pas­sato han­no introdot­to l’uso delle tele­camere a scuo­la, per far com­pren­dere ai bam­bi­ni le tec­niche che stan­no dietro la real­iz­zazione di un fil­ma­to e abit­u­ar­li a non pren­dere per oro cola­to quel­lo che vedono in tele­vi­sione. «Si trat­ta di creare una ped­a­gogia per sfruttare anche questi stru­men­ti a fini didat­ti­ci – pre­cisa – È un’impresa dif­fi­cile ma non impos­si­bile e la scuo­la ha l’obbligo di non chi­ud­er­si rispet­to alle novità».

Un altro momen­to fon­da­men­tale nel­la vita del mae­stro Lodi è rap­p­re­sen­ta­to dal­la riv­ol­ta stu­den­tesca del 1968, nata da una pro­fon­da con­tes­tazione nei con­fron­ti delle isti­tuzioni, scuo­la com­pre­sa: «Noi inseg­nan­ti ci siamo trovati spi­az­za­ti. Cre­de­va­mo in quel­lo che stava­mo facen­do per la rifor­ma dell’istruzione, ma questi gio­vani non ci tenevano neanche in con­sid­er­azione. Per loro tut­to anda­va dis­trut­to».

Una vol­ta esauri­ta ques­ta onda­ta dis­trut­ti­va, però, il nos­tro sis­tema educa­ti­vo ave­va bisog­no di una pro­pos­ta costrut­ti­va da cui ripar­tire. Lo intuì l’editore Giulio Ein­au­di, che insieme allo scrit­tore Gian­ni Rodari era abbon­a­to alle pub­bli­cazioni real­iz­zate da Mario Lodi: «All’inizio degli anni Set­tan­ta, forse su sug­ger­i­men­to di Rodari, venne a casa mia – rac­con­ta il mae­stro – e disse che il mio mate­ri­ale dove­va essere pub­bli­ca­to subito, tan­to che fui costret­to a preparare il testo in fret­ta e furia nel giro di un paio di set­ti­mane».

Da quel tour de force nacque “Il paese sbaglia­to”, e fu un suc­ces­so stra­or­di­nario. «Cre­do che il libro abbia avu­to suc­ces­so anche per il tem­p­is­mo con cui venne pub­bli­ca­to – spie­ga Lodi – Il mes­sag­gio era molto sem­plice e, descriven­do le attiv­ità svolte a scuo­la nel peri­o­do tra il 1964 ed il 1979, indi­ca­va una via di rifor­ma del­la scuo­la non dis­trut­ti­va e alla por­ta­ta di tut­ti. Per cer­ti inseg­nan­ti e gen­i­tori, però, rap­p­re­sen­tò una sor­ta di riv­o­luzione coper­ni­cana. Per molto tem­po ho rice­vu­to decine di migli­a­ia di let­tere, tutte bel­lis­sime, in cui i let­tori mi descrive­vano che cosa ave­va sig­ni­fi­ca­to per loro il libro».

Il suc­ces­so del libro venne rib­a­di­to dal­la vit­to­ria del Pre­mio Viareg­gio, nel 1971, e da allo­ra in avan­ti si molti­pli­carono gli invi­ti a Mario Lodi per­ché pre­sen­zi­asse a diver­si incon­tri segui­ti da centi­na­ia di per­sone. Da allo­ra in avan­ti le pub­bli­cazioni del mae­stro si sono molti­pli­cate, così come i riconosci­men­ti uffi­ciali: nel 1989 l’Università di Bologna gli ha con­fer­i­to la lau­rea hon­oris causa in ped­a­gogia e nel­lo stes­so anno ha rice­vu­to il Pre­mio Inter­nazionale Lego, des­ti­na­to a per­son­al­ità ed enti che abbiano dato un con­trib­u­to eccezionale al miglio­ra­men­to del­la qual­ità di vita dei bam­bi­ni.

La sua attiv­ità di stu­dio e di ricer­ca nel cam­po del­la ped­a­gogia non si è esauri­ta però né con i pre­mi né dopo l’addio all’insegnamento, avvenu­to nel 1978. Appe­na anda­to in pen­sione, infat­ti, il mae­stro Lodi fondò a Piade­na una “Scuo­la del­la cre­ativ­ità” aper­ta a tut­ta la comu­nità locale, con esper­ti che proveni­vano da ogni ango­lo del­la peniso­la. L’obiettivo del­la scuo­la, che uti­liz­za­va diverse forme espres­sive come il teatro, i burat­ti­ni e i film di ani­mazione, era quel­lo di far com­pren­dere che «tut­ti abbi­amo delle capac­ità e pos­si­amo appren­derne di nuove».

Inoltre, con i proven­ti del riconosci­men­to rice­vu­to dal­la Lego, nel 1989 venne cre­a­ta in una casci­na di Driz­zona, frazione di Piade­na, la “Casa delle Arti e del Gio­co”, coop­er­a­ti­va di servizi cul­tur­ali e didat­ti­ci e cen­tro di stu­di e ricerche sul­la cul­tura dell’infanzia, che con­tin­ua a rap­p­re­sentare un pun­to di rifer­i­men­to per gli inseg­nan­ti ital­iani, attra­ver­so l’organizzazione di mostre, sem­i­nari e con­veg­ni. Le ultime inizia­tive del­la coop­er­a­ti­va in ordine di tem­po sono state la mostra “Alberi — I bam­bi­ni non fan­no niente a caso”, allesti­ta nel Comune di San Gior­gio a Cre­mano, e “L’arte del bam­bi­no”, ospi­ta­ta pres­so il Museo del Risorg­i­men­to di Roma.

Arti­co­lo pub­bli­ca­to il 25 feb­braio 2000 su Nuo­va Cronaca, nell’ambito di una serie di inter­viste ai “patri­archi” del ter­ri­to­rio, ovvero per­son­ag­gi che han­no seg­na­to la sto­ria del­la provin­cia di Cre­mona in vari set­tori

Arti­co­lo pub­bli­ca­to anche su Medi­um

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