in Guerra e pace, Sport

Una triste bef­fa. Non si può definire altri­men­ti la vicen­da di cui è pro­tag­o­nista Petar Pua­ca, cal­ci­a­tore ser­bo poco più che ven­tenne acquis­ta­to dal­la Cre­monese all’inizio di ques­ta sta­gione. Gio­care in Italia ha rap­p­re­sen­ta­to per Petar la real­iz­zazione di un sog­no colti­va­to per anni, ma da domeni­ca scor­sa il gio­vane attac­cante di Bel­gra­do è con­sid­er­a­to un eroe in patria per la ragione oppos­ta, per­ché si è rifi­u­ta­to di scen­dere in cam­po nelle fila del­la Cre­monese, impeg­na­ta sul cam­po di Lec­ce per il cam­pi­ona­to di serie B.

Un rifi­u­to pilota­to dal­l’al­to. Alla vig­ilia del­la par­ti­ta, infat­ti, Petar ha rice­vu­to una tele­fona­ta di Budimir Vujacic, pres­i­dente del­la fed­er­azione calcis­ti­ca jugosla­va, che gli ha ordi­na­to di non gio­care in seg­no di protes­ta con­tro i raid aerei del­la Nato. Con la serie A fer­ma in qua­si tut­ti i cam­pi­onati europei per gli impeg­ni delle rispet­tive nazion­ali, Pua­ca si è così ritrova­to solo ad attuare il boicot­tag­gio volu­to dai diri­gen­ti sportivi ser­bi, e la sua defezione ha avu­to grande eco sul­la stam­pa jugosla­va, trasfor­man­do­lo in un eroe agli occhi dei suoi con­nazion­ali.

Un ruo­lo, quel­lo del­l’eroe, che il gio­vane ser­bo ha in realtà dovu­to subire suo mal­gra­do. Rifi­utare di obbe­dire al dik­tat di Vujacic avrebbe sig­ni­fi­ca­to, infat­ti, dire addio per sem­pre alla nazionale (Petar è sta­to con­vo­ca­to 34 volte con l’Olimpi­ca e l’Un­der 21 ed è sta­to due volte in panchi­na con la rap­p­re­sen­ta­ti­va mag­giore) ma soprat­tut­to, è lo stes­so Pua­ca a spie­gar­lo, essere con­sid­er­a­to alla stregua di un tra­di­tore.

Inizial­mente la Cre­monese ha cer­ca­to di oppor­si all’or­dine par­ti­to da Bel­gra­do, ma una sec­on­da tele­fona­ta da parte di Vujacic nel­la ser­a­ta di saba­to ha con­vin­to la diri­gen­za gri­giorossa a fare mar­cia indi­etro e ad accettare la posizione del cal­ci­a­tore. Un vero e pro­prio para­dos­so, per­ché Petar, che da quan­do è arriva­to a Cre­mona è rius­ci­to a raci­mo­lare solo qualche scam­po­lo di pre­sen­za in cam­po, scal­pi­ta impaziente per avere la pos­si­bil­ità di dimostrare il suo val­ore. Ma la guer­ra è guer­ra, e di fronte alle bombe del­la Nato che colpis­cono il suo Paese tut­to pas­sa, ovvi­a­mente, in sec­on­do piano.

Del resto a Bel­gra­do, sot­to la minac­cia degli aerei del­l’Al­lean­za atlanti­ca, in questo momen­to si trovano sia la madre sia la fidan­za­ta di Pua­ca. «Bian­can­eve, la mia ragaz­za — spie­ga Petar — è tor­na­ta in Ser­bia il 21 mar­zo, dopo tre mesi trascor­si in Italia con me. Dove­va rin­no­vare il vis­to e tornare subito a Cre­mona, ma lo scop­pio del­la guer­ra l’ha costret­ta a riman­dare la parten­za». Ora Pua­ca attende l’ar­ri­vo di Bian­can­eve per domeni­ca. La ragaz­za, infat­ti, dovrebbe rag­giun­gere Budapest in pull­man e da lì si imbarcherà su un aereo diret­to a Milano.

Più dram­mat­i­ca la situ­azione del­la madre del gio­ca­tore ser­bo, che vive sola nel cen­tro di Bel­gra­do e non ha fat­to in tem­po a chiedere il vis­to per il nos­tro Paese pri­ma che l’am­bas­ci­a­ta ital­iana venisse chiusa. «Sono molto pre­oc­cu­pa­to — con­fes­sa Petar — Non ho fratel­li né sorelle e mio padre è mor­to quan­do ero pic­co­lo: mia madre è tut­ta la mia vita. Spero di rius­cire a far­la venire in Italia in qualche modo. Nel frat­tem­po la sen­to ogni giorno per tele­fono e ogni vol­ta mi descrive una situ­azione sem­pre più pesante».

Intan­to domani è in pro­gram­ma un’al­tra gior­na­ta dei cam­pi­onati di cal­cio di serie A e B. Non è chiaro in che modo sceglier­an­no di protestare ques­ta vol­ta i gio­ca­tori ser­bi. «Forse giocher­e­mo con il lut­to al brac­cio e con una magli­et­ta sot­to quel­la del­la squadra con una scrit­ta con­tro i bom­bar­da­men­ti — spie­ga Pua­ca — Mi sono sen­ti­to al tele­fono con altri cal­ci­a­tori ser­bi che gio­cano in Italia e ne abbi­amo par­la­to. Di cer­to, se gio­co non voglio essere il solo che lo fa».

Anche la deci­sione di scen­dere in cam­po, così come quel­la di non far­lo, potrebbe essere la con­seguen­za di un’im­po­sizione. L’Ue­fa, infat­ti, a inizio set­ti­mana ha invi­a­to un fax alle soci­età pro­fes­sion­is­tiche di tut­to il con­ti­nente, sug­geren­do di can­cel­lare i con­trat­ti dei cal­ci­a­tori ser­bi che si rifi­uter­an­no di gio­care. Pua­ca & C. si trovano così tra incu­d­ine e martel­lo, spronati a scen­dere in cam­po dal­la mas­si­ma autorità calcis­ti­ca euro­pea e inci­tati invece a sci­op­er­are dal­la pro­pria fed­er­azione.

I dub­bi, però, riguardano solo il lato sporti­vo del­la vicen­da. Sul­la ques­tione del Koso­vo e dei bom­bar­da­men­ti del­la Nato Petar, infat­ti, come i suoi con­nazion­ali sem­bra avere le idee chiare: «Io non me ne inten­do di polit­i­ca, però mi è sem­pre piaci­u­ta la sto­ria e so che sia in Bosnia che in Koso­vo i mass media occi­den­tali han­no dis­tor­to la realtà, pre­sen­tan­do sem­pre noi ser­bi come i cat­tivi di turno. Le cose però non stan­no così. Il Koso­vo è sta­to per tan­ti anni sot­to la Ser­bia e i ser­bi koso­vari rap­p­re­sen­tano almeno la metà del­la popo­lazione».

Arti­co­lo pub­bli­ca­to il 2 aprile 1999 su Nuo­va Cronaca

Arti­co­lo pub­bli­ca­to anche su Medi­um

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